S.FRANCESCO D’ASSISI, CEUTA E LA BELVEDERE DI S.DANIELE.

Il periodo che stiamo esaminando nella ricostruzione storica di Belvedere e precisamente quello a cavallo tra la fine del XII° secolo e gli inizi del XIII° è segnato, su scala continentale e nazionale, da eventi che influenzeranno la nostra Città in modo rimarchevole: le vicende religiose la vedranno direttamente protagonista. Si é già sottolineato come lo sviluppo urbano della stessa nel frattempo ubbidendo alle direttive Sveve, volute fin dalle prime Assise da Federico II°, con la costruzione delle mura di cinta, bastioni di controllo e porte di accesso doganale, dedite alla tassatio delle mercanzie extra-regno, la caratterizzeranno definitivamente. Anche per gli Svevi Belvedere, nella strategia complessiva territoriale, così come fu per i Greci, i Romani e insieme Bizantini, Longobardi e Normanni rientra tra le località caposaldo di controllo, col porto naturale di Capo Tirone e l’immediato valico di Passo dello Scalone sulla Catena Costiera Nord della Calabria; motivo che troverà più tardi il suo apogeo con gli Aragonesi per via della costruzione di un robusto Castello Ossidionale avamposto a difesa dell’intera regione nord Tirrenica. Le vicende politiche di questi anni sono caratterizzate dall’opera di Papa Innocenzo III che ripropone la Chiesa di Roma quale centro di determinazioni socio-politiche con la decisione contrastata di confermare ad Ottone IV il Regno di Germania ed al Piccolo Federico II° quello di Sicilia, facilitando la nascita del Grande Regno Germanico destinato al suo Piccolo protetto, sebbene egli stesso sospettoso del pericolo derivante alla Chiesa dalla unificazione di un unico grande Impero.

Ed é proprio durante la fase della successiva “Scomunica” di Federico II da parte di Gregorio IX, nel contesto di diffidenza verso l’Impero da parte di religiosi cattolici e, dalla esigenza di ripristinare un ordine generale di rispetto della superiorità del Papato, che sulla scia di una grande figura, San Francesco di Assisi, Belvedere conquista il diritto di cronaca agiografica per via di un suo concittadino, martire con altri sei fratelli in Ceuta in Marocco, oggi Città Autonoma di Spagna.

Mentre il piccolo Federico II, nel duomo di Palermo, all’età di quattro anni, nella primavera del 1198 cinge la corona del regno di Sicilia, l’opera di due frati fece rifiorire un forte sentimento religioso: Domenico di Guzman in Spagna, con i suoi viaggi nel 1206 in Francia e le prediche fra gli eretici,  e Francesco di Assisi, con il suo esempio.

Francesco, figlio di un Pietro Bernardone, mercante di Assisi, nasce intorno al 1182. A seguito di una grave infermità e una prigionia sofferta a Perugia tra il 1202-03 é colto da una crisi interiore, indossa un umile saio ed abbandona gli affetti della famiglia e gli agi della vita. Viene beffeggiato e chiamato pazzo, ma di li a qualche tempo torme di uomini pii daranno ascolto alla sua portentosa eloquenza; e i discepoli da lui conquistati vestiti di abiti e brandelli, seguiranno il suo esempio, in quella che lui fonderà come prima comunità in una cappella presso Assisi.

E’ questo anche uno degli stranissimi avvenimenti del medio evo, tale da indurre ogni intelletto severo a meditare i quesiti che toccano più gravemente i destini della società umana. Le parole di Cristo, ripetute dalla bocca di un apostolo mendico: “Getta via quel che possiedi, e seguimi”, tornano a risuonare per le vie e per le piazze, in mezzo agli entusiasti della povertà, i quali ne interpretano alla lettera la dottrina. Un inesplicabile ardore per cui gli uomini s’invaghiscono di quella fratellanza mistica, il cui ornamento stava nell’abito da accattone, la cui massima dottrina era non possedere alcuna cosa e il cui modo di trarre la vita derivava dalle elemosine volontarie. Francesco avendo indole ardente di affetti, inspirata, seducente, attrae a sè gli uomini con la prepotenza dell’esempio. In quel profeta fervido, tutto cuore, si riflette un raggio del genio divino, che in altre età forse avrebbe fatto di lui il fondatore di una religione; ai suoi giorni invece egli non potè essere che uno dei Santi della Chiesa, già saldamente disciplinata; un’imitazione vivente e leggendaria di Cristo, di cui i suoi discepoli pretendevano aver visto in lui impresse le fattezze e le stimmate.

Tuttavia quei discepoli operosi di un Santo non riuscirono a riformare la società umana; in conseguenza di ciò non poterono fare altro che costituire un ordine di frati erranti, senza supporre l’influenza che il nuovo istituto avrebbe esercitato sulla società; e costrinsero il loro Santo, che non era un filosofo, né un teorico, ma un semplice figliuolo di Dio, a diventare legislatore. Chiamando i fratelli alla povertà come alla predicazione, Francesco d’Assisi aveva, come si è visto, introdotto nella sua opera un’intima contraddizione che doveva provocare gravi turbamenti, già emersi, vivente ancora il fondatore, quando il successo dell’opera superò le speranze stesse di S. Francesco. Lui non aveva mai pensato di fondare un Ordine, ma la sua confraternita lo stava diventando, e che per la sua estensione medesima sfuggiva al controllo del suo fondatore. E non si poteva permettere che divenisse nella cristianità fonte di disordine e fors’anche di eresie. Quindi ci voleva, e gli fu imposto un minimo di organizzazione, e che a San Francesco mancava. Questa trasformazione inizia  a partire dal 1217 quando il Capitolo suddivide l’Ordine in Province. Quando l’Ordine inserisce numerosi chierici e letterati provenienti dalle Università, cercando di dare all’Ordine un carattere clericale che non aveva di certo all’origine; reclamando i sacerdoti compiti di direzione ai quali paiono destinati. Francesco all’inizio si ribella ma poi dirà ai suoi: “non voglio privilegi che non quello d’essere umilmente sottomesso a tutti…….Siate sottomessi a tutti i prelati affinché, se è possibile, non si susciti alcuna gelosia”.

Resta fedele alla semplicità della predicazione come quella di tutta la vita dei Fratelli e conserva la sua diffidenza di “idiotus”, di ignorante (come si definisce egli stesso) verso l’istruzione. Non é contento che abbiano costruito una casa a Bologna e non ammette che i Fratelli possiedano libri. Entrando nell’Ordine i letterati  devono assumere l’umiltà e il metodo degli ignoranti; la povertà resta la nota essenziale dell’Ordine e l’istruzione è sempre sconsigliata.” Quelli che non conoscono le lettere, non si preoccupino di apprenderle”. Nel dire questo pone senza volerlo un problema arduo poiché ogni predicazione presuppone un minimo di cultura, dunque studi, ciò che mal s’accorda con l’obbligo della spoliazione totale e  l’insicurezza materiale. Quindi suscita la diffidenza della gerarchia, desiderosa di conservare il controllo della predicazione e allarmata dalla pretesa di insegnare direttamente ai fedeli. “ La Chiesa vietava la fondazione di nuove regole, per il motivo che ormai il numero degli ordini monastici era esageratamente salito; perciò a Francesco, ossia ai suoi seguaci, non fu cosa agevole potere fra quelli ottenere accoglienza. Ciò non di meno il  Santo trovò a Roma degli amici potenti, il ricco Cardinale Giovanni Colonna, il Cardinale Ugolino di Segni, uomo pronto ad appassionarsi e zelantissimo dei suoi protetti, che più tardi diventò papa Gregorio IX (Scomunicò Federico II, affidò l’Inquisizione ai Domenicani),  ed inoltre l’illustre Matteo Orsini, padre del futuro papa, Niccolò III.

Innocenzo III, l’uomo dal grande intelletto pratico, non comprese l’importanza del sorgente Ordine dei Mendicanti: ci vedeva forse il pericolo di una dottrina che era decisamente ostile alla potestà temporale della Chiesa. Non c’è maggiore contrapposto di quello che si scorge tra Innocenzo III e Francesco, tra il sommo sacerdote, seduto sul trono con la maestà di signore universale, e la persona dell’umile accattone. Un Diogene vero del medio evo, che stava davanti al Papa come altro stava davanti al suo Alessandro; povero e malato sognatore, ma nel suo nulla, più grande di Innocenzo, profeta che lo ammoniva; specchio in cui pareva che Dio mostrasse l’effige del loro tempo, Innocenzo III e San Francesco sono per verità due profili meravigliosi. “

“I futuri SS. Domenico e Francesco chiesero ad Innocenzo III che confermasse i due ordini monastici, ma il grande Pontefice, pur non essendo alieno dal confermare le due istituzioni che rappresentavano una forte milizia e che, con la predicazione l’uno e con l’esempio l’altro, costituivano un mezzo potentissimo per combattere nel mondo cattolico l’eresia e difendere la Chiesa, non ne ebbe il tempo e fu il successore suo, OnorioIII, che nel dicembre del 1216 confermò al primo l’Ordine dei Domenicani con il titolo di “Frati Predicatori”, sottoponendolo alla regola degli “Agostiniani”, e nel novembre del 1223 al secondo quello dei “Francescani” sotto il nome di “Frati Minori” e sotto la regola dei “Benedettini”.

Dalla Prefazione de “I Martiri di Ceuta” di Ippolito Fortino- Rubettino Editore-2006 Soveria Manneli CZ

 “ Fervente di amore divino, il beatissimo padre Francesco desiderava sempre mettere mano ad alte imprese e, camminando con cuore dilatato per via dei precetti di Dio, toccare il culmine della perfezione. Così cinque anni dopo la sua conversione, bramando ardentemente il martirio, volle passare per mare in Siria a predicar la fede cristiana e la penitenza ai Saraceni e agli altri infedeli. Si imbarcò su una nave per recarsi in quei luoghi, ma a causa dei venti contrari si ritrovò con gli altri naviganti in Schiavonia. Vedendosi allora deluso in questo desiderio, trascorso poco tempo, pregò alcuni marinai diretti ad Ancona di portarlo con loro, dato che quell’anno quasi nessuna nave riuscì a raggiungere la Siria. Così racconta Tommaso Celano nella Vita Prima del Beato Francesco scritta su mandato del Papa Gregorio IX e per la canonizzazione del Poverello d’Assisi, avvenuta poco dopo la morte. Ed egli così prosegue il racconto di quel pellegrinaggio, intrapreso con intenti missionari verso il 1212: “ Così non avendo molto tempo dopo si mette in viaggio per il Marocco per predicare il Vangelo di Cristo al Mirammolino e ai suoi correligionari. Tanto era grande infatti il desiderio che lo spingeva, che talvolta lasciava indietro il suo compagno di viaggio per affrettarsi, ebbro in spirito, a realizzare il suo proposito. Ma il buon Dio, che solo per la sua bontà volle ricordarsi di me e di molti altri, quando già aveva raggiunto la Spagna gli resistette in faccia e, perché non procedesse oltre, gli rivolse contro una malattia, richiamandolo dalla strada intrapresa”

“A Francesco d’Assisi, quindi non fu dato di predicare il Vangelo, in terra iberica o africana, al cospetto del Miramamolino, identificabile col Principe dei credenti, amir al-mu’ minin, che allora era il sultano Muhammad al-Nasir della dinastia degli Almohadi. Come ricorda Dante Alighieri nel Paradiso (XI, 100), “la sete del martirio” spingeva il Poverello di Assisi a questi viaggi missionari, esplicitamente previsti nelle sue Regole. Ed egli stesso indicava itinerari e mete ai suoi discepoli con vocazione evangelizzatrice in partibus infidelium: itinerari e mete che potevano favorire anche il conseguimento del martirio, culmine della perfezione e santità.

A sette di loro, che la tradizione agiografica ritiene originari della Valle del Crati, toccò appunto la palma del martirio in terra d’Africa, a Ceuta. Il loro martirio cade il 10 Ottobre 1227, appena un anno dopo la morte del fondatore del loro Ordine. Si inscrive in un contesto cronologico e geografico che è quello della riconquista cristiana della Spagna e dei conseguenti tentativi di recuperare alla cristianità città e terre d’Africa, soggette alla dinastia degli Almohadi al pari  di gran parte dell’al-Andalus, del territorio iberico sotto la sovranità islamica. Erano tentativi che si avvalevano anche delle vie aperte dai traffici commerciali e dai mercanti”.

“I nostri perciò sono detti martiri di Ceuta, e loro corifeo è San Daniele, ministro della Provincia della Calabria dell’Ordine dei Frati Minori. A precederli erano stati i cinque protomartiri francescani, caduti a Marrakech, la capitale degli Almohadi, il 16 Gennaio 1220, quindi mentre era ancora vivo San Francesco d’Assisi. Perciò i martiri di Ceuta sono stati talora confusi con i protomartiri, fra i quali è stato annoverato specialmente san Daniele. Comuni ai protomartiri di Marrakesh ai loro emuli di Ceuta sono, d’altronde, il  teatro del martirio, il Maghreb al-Aqsà (il remoto Occidente dei geografi arabi, che così denominavano l’attuale Marocco), e le ragioni e le circostanze di una testimonianza cristiana eroica fino allo spargimento del sangue. Il martirio tanto degli uni quanto degli altri costituisce, in ogni caso, l’esito di un approccio evangelizzatore agli ambienti islamici  disposti ad ascoltare volentieri tutti i predetti Frati minori quando predicano la fede di Cristo e la dottrina evangelica, ma non accettano la confutazione della loro, pronti  per questo a trucidarli”.

Il contesto Storico in cui si svolge l’attività missionaria dei primi Francescani viene così brillantemente ed esaustivamente illustrata da Ippolito Fortino per cui ci sembra superflua qualsiasi aggiunta per la completezza delle fonti. Dello stesso pubblichiamo in copia le pagine del testo citato:

 

      

          

           

Ancor prima della pubblicazione di questo testo dello Storico Cosentino appartenente al Movimento dei Giovani laici Francescani, gli storiografi dei Martiri di Ceuta, eccezione fatta per alcuni, sembra abbiano nelle loro opere preso a cuore più l’analisi sulla “veridicità delle fonti” il cui smantellamento in gran parte viene condiviso, piuttosto che l’approfondimento del contesto spirituale nel quale e per il quale la vicenda si svolge, sicché per i non addetti ai lavori la stessa riacquista il sapore della leggenda col rimandare gli interrogativi ad altre domande. La sintesi che ne fa l’edizione aggiornata della Treccani ne é una prova eloquente:

“DANIELE, santo.Nacque a Belvedere Marittimo (nella provincia di Cosenza) probabilmente nell’ultimo decennio del secolo XII. L’attribuzione del cognome Fasanella risulta molto tarda e insicura. Scarse e incerte sono le notizie sulla sua vita; solo il martirio subito da Daniele, insieme con sei confratelli francescani, a Ceuta in Marocco il 10 ott. 1227, è ricordato da più fonti con ricchezza di particolari. Le fonti che narrano le vicende degli ultimi giorni e del martirio di Daniele e dei suoi compagni sono: a) “una lettera scritta da Daniele” anche a nome dei suoi compagni e indirizzata a Ugo di Genova (il più anziano fra i sacerdoti residenti nel fondaco di Ceuta) e ad altri due frati (un domenicano e un francescano) che lì si trovavano temporaneamente. Fu scritta dal carcere ed è contemporanea agli avvenimenti. Nessuno studioso ha messo fino ad ora in dubbio la sua autenticità. È inserita, facendone parte integrante nella b) “Passio sanctorum fratrum” riportata dalla “Chronica XXIV generalium”. Consiste in una narrazione piuttosto articolata degli avvenimenti. La sua attendibilità è data per certa da tutti i critici, mentre se ne discute la datazione, che oscilla tra il 1227 e il 1250; c) “Passio septem fratrum minorum” (o Passio fiorentina, perché rinvenuta in un codice della Biblioteca Laurenziana) edita per la prima volta nel 1924 (Delorme), risale certamente al sec. XIII. È assai importante perché costituisce la fonte diretta dell’epitome del De conformitate di Bartolomeo da Pisa, che fu utilizzata, insieme con la Chronica XXIV generalium, per la redazione delle letture inserite nel Breviarium Romanum del 1522, dopo il riconoscimento del culto da parte di Leone X. Il testo del Breviarium è stato ripreso ed edito dai Bollandisti negli Acta Sanctorum; d) “una lettera di Mariano da Genova” indirizzata a frate Elia al fine di informarlo sulla morte dei sette francescani. Il testo pretende di essere composto da un testimone oculare degli avvenimenti, ma alcuni dubbi sono stati mossi all’autenticità del documento, edito negli Acta Sanctorum; e) “lettera di un anonimo francescano calabrese”, redatta probabilmente nel secolo XVII. In essa si sostiene l’origine calabrese di tutti e sette i martiri, dei quali vengono forniti dati sui luoghi di nascita, le casate di appartenenza ed altri particolari. Per il resto dipende dal Breviarium. Sembra che esistessero varie copie manoscritte di tale lettera, edita oggi dal Nocito e dal Coco.Quest’ultima è l’unica fonte che fornisca notizie sulla vita di Daniele precedenti il suo viaggio in Marocco. Si tratta di una fonte di molto posteriore e di incerta attendibilità. A sua detta Daniele era già prete quando nel 1219 ebbe modo di ascoltare ad Agropoli s. Francesco appena rientrato dall’Oriente. Colpito dalla parola del santo, decise di entrare nel suo Ordine. Tornò in Calabria, ove il provinciale lo assegnò alla dimora di Corigliano. Intorno al 1224 fu inviato dal nuovo provinciale calabrese, Bernardino Pugliso, in Sila per fondare, insieme con altri due fratelli, il convento di S. Maria del Soccorso sul passo di Pian del Lago. Nel 1226 Daniele venne eletto provinciale di Calabria e durante il viaggio, che compì per visitare le dimore francescane della sua provincia, espresse il desiderio di partire per l’Oriente, ad imitazione di s. Francesco e dei francescani uccisi in missione a Marrākesh nel 1221. Nel 1227 Daniele lasciò la Calabria insieme con altri sei francescani, Samuele, Angelo, Domno (o Domulo o Donulo, la grafia è assai incerta) da Montalcino, Leone, Nicola da Sassoferrato e Ugolino. Dopo aver ottenuto il necessario permesso da frate Elia, allora a capo dell’Ordine, presero il mare da un porto della Toscana: la prima tappa fu la città di Tarragona, in Spagna. Il trasferimento da lì a Ceuta avvenne in due fasi a pochi giorni di distanza; si sa, ad ogni modo, che circa alla fine di settembre il gruppo dei francescani era di nuovo riunito e si stabiliva nel fondaco dei mercanti cristiani, posto alla periferia della città. Dopo alcuni giorni di predicazioni ai commercianti pisani, genovesi e marsigliesi, i sette francescani decisero di iniziare l’annuncio del Vangelo ai musulmani. Dopo una notte di preparazione spirituale, la mattina successiva (probabilmente domenica 3 ottobre) Daniele e gli altri si introdussero di nascosto in Ceuta, proibita a tutti i cristiani sprovvisti dell’apposito permesso delle autorità locali. Spinti dall’entusiasmo, ma assolutamente privi di esperienza, i frati iniziarono la predicazione per le vie della città, in lingua italiana o latina poiché nessuno fra loro conosceva l’arabo. Tale predicazione ebbe come esito immediato l’arresto dei sette francescani, nel medesimo giorno del loro ingresso in città. Tradotti davanti a quello che le fonti chiamano “re” (e che probabilmente era il governatore) di Ceuta, furono, dopo un sommario interrogatorio, giudicati pazzi e rinchiusi temporaneamente in prigione. Da lì Daniele scrisse la lettera di cui si è detto, documento prezioso per l’analisi della mistica del martirio diffusa nell’Ordine in quegli anni e delle correnti spirituali presenti nel primo francescanesimo. Dopo circa una settimana, Daniele e gli altri furono condotti di nuovo alla presenza del governatore: durante l’interrogatorio si chiarì la natura delle intenzioni dei sette, i quali, sostenendo di non essere in alcun modo malati di mente, non persero l’occasione per rivolgere di nuovo agli astanti l’invito alla conversione, alla presenza di un interprete che comprendeva il latino. Nell’impeto del discorso. Daniele si lasciò andare ad insulti rivolti a Maometto e a tutti i suoi seguaci che si rifiutavano di riconoscere la divinità di Cristo e che perseguitavano i suoi discepoli. Invitato a ritirare quegli insulti e ad abbracciare l’islamismo, D. rifiutò sdegnosamente, imitato immediatamente da tutti i compagni, che invocavano il martirio. Condotti allora davanti al locale giudice, i sette furono di nuovo invitati a convertirsi alla religione di Maometto. A seguito dei loro reiteratì rifiuti il tribunale li condannò a morte. La sentenza fu eseguita quello stesso giorno, il 10 ott. 1227, per decapitazione, alla periferia di Ceuta. I mercanti cristiani, probabilmente con il permesso delle autorità, raccolsero i corpi e li seppellirono decorosamente nel fondaco. Le ossa furono in seguito (1251) trasferite dall’infante Pedro di Portogallo nella penisola iberica, forse a Braga, dove ebbero inizio alcune manifestazioni di culto pubblico. Città della Spagna, del Portogallo e dell’Italia vantano reliquie di qualcuno dei martiri, ma non è documentata la dispersione dei loro resti. Con decreto del 22 genn. 1516, Leone X permise, per i francescani, il culto di D. e dei suoi compagni, fissando la data al 13 ottobre (il 10, giorno della morte, cade infatti nell’ottava destinata dall’Ordine alle celebrazioni di s. Francesco).

Fonti e Bibl.: Acta Sanctorum Octobris, VI,coll. 384-392; Provinciale Ordinisfratrum minorum vetustissimum secundum codicem Vaticanum nr. 1960, a cura di C. Eubel, Ad Claras Aquas 1892, p. 54, n. 202; Chronica XXIV generalium Ordinis minorum, in Analecta franciscana, III (1897), pp. 32 s., 613-16; Bartolomeo da Pisa, De conformitate vitae beati Francisci ad vitam Domini Iesu, in Analecta franciscana, IV (1906), pp. 296 s.; A. Lopez, La provincia de España de los frailes minores, Santiago 1915, pp. 329 ss.; F. Delorme, Pour l’histoire des martyrs du Maroc, in La France franciscaine, VII (1924), pp. 113-16; D. Zangari, I sette ss. frati minori di s. Francesco d’Assiss martirizzati a Ceuta nel Marocco (1227), Napoli 1926; P. de Cénival, L’Eglise chrétienne de Marrakech au XIIIe siècle, in Hésperis, VII (1927), pp. 72-77; C. Nocito, Notizie biogr. su s. D.,Cosenza 1927; L. Wadding, Annales minorum, Ad Claras Aquas 1931, II, pp. 29-35; P. Coco, Saggio di storia francescana in Calabria, Taranto 1931, pp. 5-11; E. Palandri, La leggenda fiorentina di s. Antonio, in Studi francescani, s. 3, IV (1932), pp. 469-73; F. Russo, La fonte della passione dei ss. martiri di Ceuta, in Miscell. francescana, n. s.,XXXIV (1934), pp. 113-17, 350-356; O. van der Vat, Die Anfänge der Franziskanermissionen und ihre Weiterentwicklung im nahen Orient…, Werl in Westfalen 1934, pp. 208 ss.; Dictionnaire d’Hist. et de Géographie Eccles., XIV, col. 68; Enc. cattol., IV,coll. 1152-1153; Vie des saints et des bienheureux, X, pp. 324-327; Bibl. sanctorum, IV,coll. 469-470.”

“DANIELE, santo. – Nacque a Belvedere Marittimo (nella provincia di Cosenza) probabilmente nell’ultimo decennio del secolo XII. L’attribuzione del cognome Fasanella risulta molto tarda e insicura. Scarse e incerte sono le notizie sulla sua vita; solo il martirio subito da D., insieme con sei confratelli francescani, a Ceuta in Marocco il 10 ott. 1227, è ricordato da più fonti con ricchezza di particolari”.

E’ questo quanto riporta la Treccani in versione aggiornata all’inizio di articolo su S.Daniele.

Ed é questa la conclusione di quasi tutti gli storici che si sono interessati al caso. Ma la stessa Treccani ed in sintesi tutti gli stessi Storiografi concordano su un punto: “Le fonti che narrano le vicende degli ultimi giorni e del martirio di Daniele e dei suoi compagni sono: a) una lettera scritta da Daniele anche a nome dei suoi compagni e indirizzata a Ugo di Genova (il più anziano fra i sacerdoti residenti nel fondaco di Ceuta) e ad altri due frati (un domenicano e un francescano) che lì si trovavano temporaneamente. Fu scritta dal carcere ed è contemporanea agli avvenimenti. Nessuno studioso ha messo fino ad ora in dubbio la sua autenticità. È inserita, facendone parte integrante nella b) Passio sanctorum fratrum riportata dalla Chronica XXIV generalium. Consiste in una narrazione piuttosto articolata degli avvenimenti. La sua attendibilità è data per certa da tutti i critici, mentre se ne discute la datazione, che oscilla tra il 1227 e il 1250;”

La lettera scritta da Daniele ed indirizzata ad Ugo da Genova trova riscontro in questo manoscritto in copia dell’originale rinvenuto nel 1251 in cui viene citato il Frate Ugo da Genova destinatario della missiva di S.Daniele a nome degli altri fratelli.

Questa copia del Documento Originale viene riportata da Alejandro Sevilla Segovia, dal 1969 al 2007 Doctoral de la Catedral de Ceuta, a pag.99 di una sua pubblicazione: Raìces Històrico-Religiosasa De La Ciudad DE Ceuta. Il testo di cui se ne riproduce la copertina é stato consegnato allo scrivente nella qualità di Sindaco nel 2004 in occasione di una visita a Belvedere dello stesso Don Alejandro in delegazione con la Confradiìa de San Daniel y Companeros Màrtires Patronos de Ceuta e la copia autenticata dello  stesso é stato da me e da una delegazione Belvederese visto nella Cattedrale di Ceuta nel 2005 in occasione della restituzione della richiamata visita Ceutina a Belvedere.

Nel sopracitato testo del 2006 dello Storico Cosentino appartenente al Movimento dei Giovani laici Francescani, “I Martiri di Ceuta-alle origini del francescanesimo in Calabria”, Ippolito Fortino, pur condividendo gran parte dei rilievi sollevati alla veridicità delle fonti storiche che riguardano i Martiri di Ceuta, parte dalla autenticità di questa unica preziosissima fonte rappresentata dalla Lettera di Daniele dal Carcere a nome dei Fratelli, ed approda a delle conclusioni riassumibili dalla presentazione che dell’opera ne fa il Prof. Filippo Bulgarella:”Studio sorretto da una originale interpretazione della vicenda agiografica convincentemente illustrata in relazione ai martiri e ai testi che li riguardano. Ne risulta, per i sette frati francescani, l’identità storica di discepoli, per così dire, audaci del Poverello d’Assisi, perché compenetrati da un intransigente vocazione missionaria e da una radicale mistica del martirio”. Pertanto un primo giudizio di merito dell’unico indiscusso testamento di S.Daniele Martire rimane questa squisita dissertazione che ne fa Ippolito Fortino da pag. 42 a pag.47:

Traduzione

L’Autore di seguito commenta:

        

Ancora più interessante diviene la “Passio septem fratrum minorum“……… detta anche “Passio fiorentina” perché rinvenuta nel codice n.9 della Biblioteca Laurenziana e pubblicata per la prima volta dal Delorme all’interno del suo studio “Pour l’histoire des martyrs du Maroc”, in “La France Franciscaine”, VII (1924), pp.114-116 e da altre edizioni del Nocito nel 1927 e del Palandri nel 1932. Costituisce la fonte diretta dell’epitome del “De Conformitate” di Bartolomeo da Pisa- opera composta tra il 1385 ed il 1390- che fu utilizzata, insieme con la Passio della Chronica XXIV generalium, per la redazione delle letture inserite nel Breviarium Romanorum del 1522, dopo il riconoscimento del culto da parte di Leone X. Il Trattato di Bartolomeo da Pisa fu approvato ufficialmente dal capitolo generale dell’Ordine francescano del 1390. L’opera contiene anche un elenco dei personaggi insigni dello stesso Ordine ripartiti in serie sistematiche (filosofi, teologi, esegeti, santi, etcc..) e geografiche, un quadro completo e complessivo di tutto l’Ordine, di cui dà la distribuzione per province, custodie e conventi. Ed é proprio nel primo libro delle Conformità che Bartolomeo da Pisa parla dei Martiri di Ceuta; la qual cosa viene rimarcata dal Delorme all’interno del suo studio “Pour l’histoire des martyrs du Maroc”, come fonte finora sconosciuta del Capitolo, concordando insieme al Russo, che la Passio Fiorentina è databile intorno al 1250. Inoltre il Palandri, nel notare che nella stessa é riferito per  la prima volta l’episodio del trasferimento delle reliquie dei Martiri in Portogallo, dopo una attenta disanima circa la confusione operata da Bartolomeo da Pisa, nel riportare gli episodi contenuti nella Passio fiorentina, fra i protomartiri del Marocco del 1220 e i Martiri di Ceuta del 1227, si allinea alla precedente interpretazione dei Bollandisti secondo i quali, pur prendendo atto della imprecisione e confusione che regnano tra i cronisti sulle vicende della traslazione, non é necessario negarla in virtù della costante tradizione di cui gode. Episodio che fra l’altro annoverato in concomitanza della datazione precisissima del testo della Passio fiorentina, sulla base dei manoscritti, proprio attorno al 1250, porta a concludere lo stesso Fortino, che la Passio septem fratrum  abbia costituito come l’eco liturgica della traslazione, avvenimento da cui partì una devozione popolare tale da richiedere col tempo la ratifica pontificia avvenuta nel 1522.

Oggi San Daniele, Patrono di Ceuta, ed i sette Martiri sono venerati in una stupenda città autonoma di 78.000 abitanti sotto presidio regio Spagnolo, in terra marocchina, a ridosso dello Stretto di Gibilterra. Chi scrive ha avuto modo, nelle vesti di Sindaco di Belvedere, di essere ricevuto a Pasqua del 2005 dal Governatore di Ceuta e dalla Confradìa de San Daniel in ricambio di una loro visita a Belvedere nell’Ottobre del 2004. Gli unici ed ultimi contatti epistolari fra la Confradia di Ceuta e la città di Belvedere risalgono al 1951 per opera del Prof. Jaconangelo Umberto e squisitamente ripresi nella pubblicazione di don Alejandro Sevilla Segovia, Canciller del Obispado de Ceuta nonché Doctoral de la Catedral: “Raices Historico-Religiosas de la Ciudad de Ceuta”.

Un testo scritto nel 1981 ed in terza edizione nel 2001, prima della venuta dello stesso Sacerdote in occasione della visita del 2005, che vuole raffrontare in un quadro di comparazione i documenti ufficiali sul Santo ed i Sette Martiri, ed in cui traspaiono ancora intatti i ferventi desideri religiosi di voler identificare, a distanza di Secoli, il reliquario dei martiri, anche dei protomartiri di Marrakesh, proprio in Ceuta, nel cimitero cristiano dei presidi genovesi, spagnoli e marsigliesi di Alfondegha. Sebbene è quasi certo che, immediatamente dopo, per un   intervento di un infante Portoghese, nel 1251, le stesse possono aver seguito le rotte del Portogallo o della Spagna (per questo, la devozione nella grande città di Braga ed in molti paesi degli stessi).

A Braga (Portogallo) nel Breviario della Santa Chiesa si è inoltre proceduto a:

“ Leon X concedio à la Orden de San Francisco, en el ano 1516, que celebrase à estos santos martires fiesta solenne de doble mayor. Fr.Juanetin Nino advirtio que en el Breviario de la santa iglesia de Braga anda errada el numero de los anos en que los santos martires padecieron, y que donde dice en la era de 1221 debe decir 1227 anos. Anche a Braga si conferma: “ Desués de degollados, no content os con esto los moros, les despedazaron las cabezas y los cuerpos y los arrastraron por la ciudad con grande algazara, como en venganza de su Profeta. Tùvose  por cosa de milagro que pudieran salvarse algunas de sus reliquias, las cuales fueron honrosamente sepultadas en el barrio de los genoveses, pisanos y marselleses, obrando nuestro Senor por intercession de sus siervos grandes maravi.

La memoria de estas reliquias se perdiò con el tiempo, quedando sòlo viva la de su martirio, que pasò à la letra, como hemos dicho, el dìa 10 de Octubre, aunque el Martirologio Romano hace memoria tal dìa come hoy”. De la traslacion que da estas reliquias se supone hecha en Espana por un infante de Portugal dice el mismo historiador que no queda memoria cierta en los libros de la Orden”.

Ma è anche la conferma della possibilità che parte delle reliquie, consegnate a marinai genovesi e pisani, siano giunte sino a Belvedere. I mercanti cristiani occidentali recuperarono i miseri resti e li seppellirono nei sobborghi di Ceuta. In seguito le ossa furono trasferite in Spagna, ed oggi sono venerate nelle città di Spagna, del Portogallo e dell’Italia, vantando, ognuna di essa, qualche reliquia. Oggi, l’anelito di Ceuta e l’attaccamento al Santo, venerato nella sua Cattedrale, ci mortifica! :

  “ Yo tengo por sin duda que oi Ceuta conserva este precioso tesoro; i q’los autores, i breviaros referidos se equivocaron con los cinco Martires de la misma orden, q’por Ceuta truxo a Hespana el infante de Purtugal Don Pedro. Tubieron ocasion para enganarse, pues ambos martirios suciederon un ano tras otro, i ambos tuvieron tanta correspondencia con Ceuta como visto.”

Nota: al di là di qualche imperfezione di notizie il video prodotto dalla Confradìa di Ceuta da l’esatta dimensione del culto dei Martiri e di San Daniele, riassumibile nello stesso titolo: San Daniele, tre continenti una sola Fede. (prima parte). mauro d’aprile

http://vimeo.com/20067972San Daniel, tres continentes, una sola Fe. de Cofradia de San Daniel – Ceutapublicado en Vimeo.