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IL PUNTO: Maastricht 25 anni dopo

L’euro è diventato l’obiettivo preferito degli attacchi di movimenti populisti sempre più forti e agguerriti, l’Unione economica è ancora incompleta e quella politica è praticamente rimasta lettera morta. A 25 anni da un accordo definito da tutti, all’epoca, ‘storico’ e che pose le basi dell’Unione monetaria, il Trattato di Maastricht è però rimasto per diversi, importanti aspetti, inapplicato. Nonostante questo, o forse proprio per questo, negli ultimi anni è finito nell’occhio di un ciclone politico e sociale che sta mettendo a dura prova la tenuta di quell’Unione nata per volontà di dodici leader europei che volevano dare una risposta alla nuova realtà geopolitica scaturita dalla caduta del muro di Berlino.

“Purtroppo l’idea che la moneta unica trascinasse verso l’Unione economica e politica non ha funzionato”. Nel corso di questi 25 anni “non si è riusciti ad armonizzare le politiche economiche e fiscali e quando è arrivata la crisi le tensioni e i problemi sono esplosi”. Inoltre, l’Unione politica prefigurata nel Trattato è rimasta sulla carta dando vita a quella ‘zoppia’ denunciata senza sosta da Carlo Azeglio Ciampi fin quando ha potuto.

Certo il cancellerie tedesco Helmut Kohl, il presidente francese Francois Mitterand e il presidente del Consiglio Giulio Andreotti, principali artefici dell’intesa trovata a Maastricht nel vertice del 9-10 dicembre ’91 (il Trattato fu poi firmato a febbraio del ’92), non immaginavano che cosa sarebbe successo un quarto di secolo dopo anche a causa di quella Brexit arrivata sull’onda di un processo anti-federalista avviato fin da allora da Margaret Thatcher e John Major. Due premier che diedero filo da torcere ai colleghi dell’allora Cee. Prima opponendosi all’avvio della conferenza intergovernativa, aperta nel ’90 sotto presidenza italiana nonostante il voto contrario della Thatcher. E poi negoziando gli opt-out ottenuti da Mayor nel dicembre ’91 su moneta unica e carta sociale.

“Maastricht ha comunque segnato una svolta importantissima” nella storia dell’integrazione europea. “E’ stata la riforma più consistente dopo l’atto unico ed ha decretato il passaggio da ‘Comunità economica’ a ‘Unione’” in risposta all’esigenza di aprirsi ai Paesi dell’Est. Nel ’91 vennero anche fissati due dei parametri – rapporti deficit-Pil e debito-Pil non superiori rispettivamente al 3 e al 60% – da rispettare per essere ammessi nel ‘club’ dell’euro. Numeri discutibili ma indicati per essere il punto di riferimento di una convergenza progressiva delle economie dei Paesi dell’Eurozona ritenuta allora indispensabile per supportare la moneta unica. Ma anche in questo caso il processo è rimasto incompiuto e i parametri sono ora diventati, agli occhi dei cittadini, niente più che il simbolo del rigore e dell’austerità a cui si imputano oggi tanti problemi.

Il declino del processo di integrazione “è cominciato con il fallimento del Trattato costituzionale” bocciato dai referendum che si svolsero in Francia e Olanda nel 2005. Con il Trattato di Lisbona del 2009, “l’Europa ha poi abbandonato ogni ambizione federalista ed ha sancito l’affermarsi del metodo intergovernativo rispetto a quello comunitario” con buona pace dell’interesse comune superiore “dando così vita al paradosso che stiamo vivendo. Sono i premier ha prendere a Bruxelles le principali decisioni, quasi sempre in base a interessi nazionali. Salvo poi scaricare sull’Ue le ‘colpe’ di quanto deciso una volta tornati in patria”.

L’unica strada per riconquistare la fiducia degli elettori, sarebbe quella, da parte di un ‘nocciolo duro’ di Paesi, di “rilanciare una ‘Unione sociale’ basata sul welfare e la lotta alla disoccupazione. Non si sa quando ci potrà essere questo scatto. Ma certo, a causa della crisi politica apertasi, le speranze che la spinta propulsiva possa venire dall’Italia in occasione del vertice convocato per celebrare a marzo i sessant’anni del Trattato di Roma si sono assai ridimensionate”. E gli appuntamenti elettorali europei del 2017 saranno dei nuovi, difficile banchi di prova per la tenuta dell’Ue.

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