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QUEL 16 MARZO 1978

 di mauro d’aprile

 Quel 16 Marzo di quaranta anni fa- 1978

C’è la crisi dell’ordine democratico, crisi latente, con alcune punte acute. Io temo le punte, ma temo il dato serpeggiante del rifiuto dell’autorità, rifiuto del vincolo, della deformazione della libertà che non sappia accettare né vincoli né solidarietà. Questo io temo e penso che l’aiuto di altri ci possa giovare nel cercare di riparare questa crisi della nostra società.” (Dall’ultimo discorso pubblico di Aldo Moro ai gruppi parlamentari della Dc (28 febbraio 1978) per convincerli dell’accordo con i comunisti.)

Alle 8.55 del 16 marzo Aldo Moro, insieme alla scorta, parte da casa. Sette minuti dopo, l’agguato tra via Fani e via Stresa. Quattro agenti della scorta muoiono subito, un quinto poco dopo, in ospedale. Inizia così il sequestro. I brigatisti in fuga con l’ostaggio riescono ad attraversare la città e cambiano auto ben due volte prima di portare l’allora presidente della Democrazia Cristiana nell’appartamento usato come prigione.

Lo fanno rannicchiare dentro una cassa di legno traforata, lunga 120 centimetri ma larga solo 80, che Germano Maccari si era fatta costruire da un falegname, con due maniglie e la serratura con la chiave, dicendogli che serviva per una spedizione, e che aveva ritirato con Laura Braghetti due giorni prima del sequestro, per consegnarla a Morucci in un incontro nel quartiere di Monteverde. I brigatisti fecero le prove, accovacciandosi all’interno. Adesso, dietro le porte sbarrate del furgone, in quella cassa viaggiava un uomo, catturato perché leader politico, trasformato in ostaggio.

Il processo al prigioniero diviene il processo alla Democrazia Parlamentare, quella della solidarietà, delle libere idee di uomini che avendo  conquistato faticosamente la libertà,  anche nelle passioni conservano il senso del rispetto reciproco, con la “propensione all’ascolto”, ad una “politica dell’attenzione”, alle “sensibilità dei bisogni”, alle “convergenze costruttive”, al “Compromesso” che diventa Storico proprio perché traccia un “ segmento del Bene Comune” da conservare e difendere, pur dalle rispettive posizioni di partenza. E non ultimo quel costante richiamo alle regole scelte con  una attitudine alla compostezza ed  una eleganza della forma, che divengono contenuto.

Con Moro, era chiuso a chiave in quella gabbia di legno anche l’ultima speranza di dar corso all’evoluzione dell’utopia del  Progetto Popolare:

Ecco su che cosa consiglio di riflettere per trovare un modo accettabile per uscire da questa crisi. Ho ascoltato con grande interesse le cose che ha detto Donat Cattin, che mi sono sembrate di grande saggezza, non solo, ma molto intelligenti. Egli ha sentito l’importanza di questo momento e ha fornito degli elementi costruttivi, ci ha ricondotto ad una impostazione che collega programmi e quadro politico che fa perno sul programma, sul modo di cooperazione, per fronteggiare quello che si deve fronteggiare.”

“C’è chi ha parlato, in questi giorni, del timore dell’egemonia comunista e si è domandato che cosa avete voi democratici cristiani da contrapporre democraticamente a questa forza avvolgente che certamente è il Partito Comunista? Dico che noi abbiamo la nostra idealità e la nostra unità. Non disperdiamole; parliamo di un elettorato liberal-democratico, certo, noi siamo veramente capaci di rappresentare a livello di grandi masse questa forza ideale, ma ricordiamoci della nostra caratterizzazione cristiana e della nostra anima popolare. Ricordiamo quindi quello che siamo.

Siamo importanti, ma siamo importanti per quest’amalgama che caratterizza da trenta anni la Democrazia Cristiana. Se non siamo declinati è perché siamo tutte queste cose insieme e senza queste cose insieme non saremmo il più grande partito popolare europeo.”

Certo, quella indispensabile esigenza Morotea di “inaugurare una Nuova Stagione dei “Diritti e dei Doveri” per il Paese, avrebbe richiesto un passaggio di fusione a freddo con le più temperate intenzioni Berlingueriane: “Per aprire finalmente alla Nazione una via sicura di sviluppo economico, rinnovamento sociale e progresso democratico, è necessario che la componente comunista e quella socialista s’incontrino con quella cattolica, dando vita ad un nuovo grande compromesso storico.”

Ma avrebbe certamente dato attuazione all’incompiuta Costituzione, partendo proprio dai principi ispiratori economici rimasti ancora in gran parte non attualizzati, almeno secondo gli scopi sociali. Sono quelli dell’utopia Popolare Sturziana, nella visione del superamento dello Stato, che hanno permeato ed intriso la Costituzione, unica nel panorama mondiale:

La proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati. La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti.

Su di essa si esercita quindi il diritto all’uso pubblico di godimento sia dallo Stato che dai Privati, per garantirne la funzione sociale. E’ compito dello Stato e dei Privati Cittadini custodirla e salvaguardarla, promuovendo  e  concorrendo al bene comune “.

Secondo le linee Morotee del Compromesso, sarebbe dovuto essere,“tutore di tutto questo, il Popolo”.

Il Popolo nel quale il singolo si identifica e si contraddistingue con le sue caratterizzazioni peculiari di soggetto e di personalità, piuttosto che una omogenea, ma informe, massa vociante: quella della “Gente” che ha finito per caratterizzare la fine dei Partiti e la nascita dei Movimenti.

Con Moro, era chiuso a chiave in quella gabbia di legno, anche l’ultimo capitolo della Repubblica Parlamentare Italiana. E quanto tragicamente e beffardamente, in queste ore, quella voce torna attuale e viva.

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