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SOLIDARIETA’ EUROPEA

Il metodo intergovernativo e il dilemma della solidarietà europea

Il rifiuto dei Paesi del Nord Europa di forme, anche solo parziali, di solidarizzazione del debito, smaschera una volta di più il vero problema dell’Unione.

Con i c.d. eurobond (o coronabond che dir si voglia) i cittadini dei Paesi del Nord Europa, infatti (tedeschi su tutti), sarebbero costretti a sopportare un costo di finanziamento più elevato di quello sostenuto per i propri titoli nazionali. Cioè, l’emissione di un bond unitario, ad un tasso di interesse unico, da commisurarsi all’affidabilità creditizia di tutti gli Stati messi assieme, vedrebbe sicuramente l’applicazione di un interesse superiore a quello dei bond tedeschi.

Ciò significa, in concreto, che i cittadini tedeschi dovrebbero pagare oneri maggiori (maggiori tasse o maggiore debito pubblico interno) per sostenere tali emissioni. Un timore ben sintetizzato dal conservatore Die Welt, secondo il quale il rifiuto opposto dal governo tedesco non risponderebbe ad una posizione di principio, ma solo all’intento di “evitare ulteriori carichi ai contribuenti tedeschi, austriaci e olandesi”. Carichi che lo stesso giornale stima nell’ordine dei 20-30 miliardi.

In altri termini, si paventa il rischio che gli eurobond consentano ai cittadini italiani di annacquare un certo lassismo di bilancio, costringendo quelli tedeschi a vanificare parte dei sacrifici fatti negli ultimi anni. Si tratterebbe di un trasferimento di risorse dai contribuenti tedeschi a quelli italiani.

Vista così, appare chiaro perché neppure una crisi sanitaria venga ritenuta ragione sufficiente per una solidarietà incondizionata.

Il punto è che la solidarietà richiede vicinanza e confronto (i neuroni specchio hanno bisogno di specchiarsi, direbbe la scienza). Tanto più la prossimità è stretta, tanto più la solidarietà si potrà manifestare incondizionatamente.

L’odierna architettura europea, invece, è fatta per tenere distanti i cittadini e le opinioni pubbliche. Non è stato sufficiente, finora, colmare il deficit di prossimità istituzionale (che è deficit democratico) con le prerogative che discendono dalla cittadinanza europea. Prerogative che, al di là del voto dato per il Parlamento Ue, rimangono per lo più scritte sulla carta e ben poco vissute.

Tale difetto di democraticità non deriva solo dalla difficoltà di aggregare comunità diverse, dalle particolari tradizioni secolari. Deriva soprattutto dalla mancanza di volontà dei governi nazionali di superare i livelli di governo locale attraverso ulteriori cessioni di sovranità in senso federale su materie chiave.

La solidarietà europea in materia economica è vittima degli egoismi nazionali esattamente come lo è, ad esempio, la politica estera o di difesa comune. Gli egoismi nazionali vengono istituzionalmente esaltati nel c.d. metodo intergovernativo, a cui sono rimesse moltissime decisioni rilevanti nella vita dell’Unione.

Il metodo intergovernativo si affacciò nella vita dell’Europa quando, in occasione del Trattato di Maastricht del 1992, si decise di estendere il processo di integrazione a nuove politiche rispetto a quelle che avevano sino ad allora sovrinteso al mercato unico: quella economica, dell’ordine pubblico, della giustizia, della difesa e della sicurezza. Per tali politiche, giudicate troppo importanti per ciascun Paese, si decise, però, di non adottare il c.d. metodo comunitario di decisione (ossia il metodo più sovranazionale sperimentato dalla Comunità europea), bensì quello intergovernativo, che avrebbe consentito a ciascun governo di pesare in ogni scelta.

Le implicazioni effettive di tale nuovo metodo sono state tracciate nella Nota esplicativa della Commissione sul “Metodo comunitario”, MEMO/02/102, del 22 maggio 2002. Alla domanda “Qual è il valore aggiunto del metodo comunitario rispetto al metodo intergovernativo?”, la Nota rispondeva: “Il metodo comunitario consente agli Stati membri di condividere la sovranità in modo democratico e di collaborare nell’interesse generale dell’Unione europea”.

Al contrario, evidentemente, del metodo intergovernativo.

Mentre nelle materie che implicano la partecipazione del Parlamento Ue i cittadini intervengono attraverso i loro eletti a livello europeo, in quelle in cui la decisione è rimessa ai governi i cittadini sono tenuti a distanza dal filtro degli interessi nazionali (non sempre conformi a quelli europei) e dalle logiche di consenso interno a cui rispondono i singoli governanti.

Gli organi in cui il metodo intergovernativo si esplica sono due: il Consiglio europeo (composto dai capi di stato e di governo di ciascun Paese), chiamato a dettare gli indirizzi e le priorità generali dell’Unione, e il Consiglio dell’Unione europea (formato dai ministri di ciascun Paese in composizione variabile a seconda della materia trattata), che partecipa al processo legislativo accanto al Parlamento.

Il parziale fallimento del Consiglio europeo che si è tenuto giovedì scorso, nel corso del quale si è deciso di rimandare ogni decisione in merito all’istituzione di eurobond o all’attivazione del MES senza condizionalità, è stato figlio proprio di tale metodo intergovernativo e della logica perversa del voto all’unanimità che ne caratterizza di regola il funzionamento.

Anche la solidarietà europea è schiava della logica intergovernativa.

In materia economica l’interesse preminente degli Stati membri, come sancito nei trattati fondativi, è stato infatti quella di relegare la solidarietà ad un artificio tecnocratico.

 “Gli Stati membri considerano le loro politiche economiche una questione di interesse comune e le coordinano nell’ambito del Consiglio”, recita l’art. 121 TFUE, intrappolando ogni decisione in merito nei bracci di ferro fra i singoli governi.

L’art. 122 TFUE afferma che il Consiglio possa decidere, “in uno spirito di solidarietà tra Stati membri”, le misure adeguate alla situazione economica, ma, qualora uno Stato membro si trovi in difficoltà a causa di calamità naturali o di circostanze eccezionali che sfuggono al suo controllo, ogni assistenza finanziaria può essere concessa solo “a determinate condizioni”.

L’Unione e gli Stati membri non rispondono, né si fanno carico degli impegni assunti dagli altri Stati membri, recita solennemente la regola aurea dell’art. 125 TFUE.

Gli Stati membri la cui moneta è l’euro possono istituire un meccanismo di stabilità da attivare ove indispensabile per salvaguardare la stabilità della zona euro, ma la concessione di qualsiasi assistenza finanziaria deve essere soggetta a una rigorosa condizionalità, recita l’art. 136 TFUE.

Insomma, allo stato dei trattati la solidarietà non è effettivamente dovuta se non sotto condizione, quale che sia la gravità delle circostanze. Non si tratta, però, di una sconfitta dell’Europa, ma di una sacca di nazionalismo. Si tratta della tenace resistenza di quelle logiche – subliminali nel metodo intergovernativo – a cui si appellano le forze che chiamiamo sovraniste.

I sovranisti in tutti i Paesi membri hanno pressato all’inverosimile le opinioni pubbliche per affossare il metodo comunitario e ogni forma di cooperazione e di maggiore rinuncia di sovranità; e i sovranisti nostrani, in particolare, hanno applaudito ai loro omologhi negli altri Paesi mentre incalzavano i governi in carica contro l’Europa matrigna.

Applaudano adesso.

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