Vorrei partire prima di tutto dalla quantificazione del fenomeno.
L’Italia possiede circa 7600 chilometri di coste naturali, cui si affiancano altri 700 chilometri di coste artificiali che sono, peraltro, in costante aumento a causa dei fenomeni di erosione e di alterazione della qualità ambientale dei litorali nonché all’innalzamento del livello del mare.
Sui litorali italiani insistono circa 21.500 concessioni di spiaggia che occupano, orientativamente, 4.000 chilometri di costa e comportano la presenza di strutture ogni 400 metri.
1. Le frizioni con l’UE: il regime giuridico tradizionale delle coste e del loro affidamento a terzi. Il disinteresse dell’UE in tema di beni pubblici ma, al contempo, la liberalizzazione delle attività economiche disposta dalla cd. direttiva Bolkestein.
Alla direttiva UE concessioni del 2014 interessano soltanto i casi in cui la p.a. acquisisce lavori o servizi, elemento che rappresenta un importante denominatore comune tra le concessioni (di lavori e servizi) e gli appalti. Di contro la direttiva, e il successivo Codice dei contratti del 2016, non intende occuparsi delle ipotesi in cui le p.a. riconoscano ad un soggetto il diritto di gestire un bene senza che da tale gestione le stesse si attendano la realizzazione di opere o l’erogazione di servizi pubblici.
Il passo successivo nella disciplina delle concessioni di beni è rappresentato dalla direttiva 2006/123/CE, relativa ai «servizi nel mercato interno» (cd. direttiva Bolkestein). La direttiva Bolkestein si proponeva come scopo quello di garantire la piena effettività ai principi di libertà di stabilimento dei prestatori di servizi e di libera circolazione di questi ultimi.
Sulla scorta dell’art. 12 della direttiva Bolkestein:
«Qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili, gli Stati membri applicano una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti garanzie di imparzialità e di trasparenza e preveda, in particolare, un’adeguata pubblicità dell’avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento»;
«Nei casi di cui al paragrafo 1 l’autorizzazione è rilasciata per una durata limitata adeguata e non può prevedere la procedura di rinnovo automatico né accordare altri vantaggi al prestatore uscente o a persone che con tale prestatore abbiano particolari legami»;
«Fatti salvi il paragrafo 1 e gli articoli 9 e 10, gli Stati membri possono tener conto, nello stabilire le regole della procedura di selezione, di considerazioni di salute pubblica, di obiettivi di politica sociale, della salute e della sicurezza dei lavoratori dipendenti ed autonomi, della protezione dell’ambiente, della salvaguardia del patrimonio culturale e di altri motivi imperativi d’interesse generale conformi al diritto comunitario».
Bisogna dire che taluni hanno espresso dubbi sull’applicabilità della direttiva Bolkestein al tema in questione, direttiva che formalmente non si riferisce ai beni ma alla libertà di stabilimento e di circolazione. Tuttavia, questa tesi è stata superata dalla giurisprudenza nazionale ed europea, che ritiene ormai pacificamente applicabile la direttiva Bolkestein sulla base di un’interpretazione funzionalistica e sostanzialistica.
Un gustoso aneddoto sul punto: il sig. Bolkenstein, invitato ad un convegno delle donne titolari di stabilimenti balneari, fa una dichiarazione breve e lapidaria, con grande stupore dell’uditorio: la mia è una direttiva che riguarda la circolazione dei servizi, non l’assegnazione dei beni pubblici.
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Le riforme degli ultimi anni: i tentativi del legislatore nazionale e regionale per sottrarre l’affidamento del demanio balneare alle procedure competitive che la direttiva Bolkestein sembrerebbe imposte. Il ruolo della Corte costituzionale.
L’art. 12, par. 2, della Bolkestein si scontrava con un istituto prima accettato e diffuso nell’ordinamento italiano: il cd. «principio di insistenza» (art. 37, comma 2, Codice navigazione: «Al fine della tutela dell’ambiente costiero, per il rilascio di nuove concessioni demaniali marittime per attività turistico-ricreative è data preferenza alle richieste che importino attrezzature non fisse e completamente amovibili. È altresì data preferenza alle precedenti concessioni, già rilasciate, in sede di rinnovo rispetto alle nuove istanze».
La Commissione, quindi, ha avviato una procedura di infrazione (n. 2008/4908) nei confronti dell’Italia, lamentando la contrarietà dell’art. 37, comma 2 Codice della Navigazione rispetto al diritto UE (in special modo rispetto alla libertà di stabilimento).
La sua abrogazione non è stata gestita con una organica riforma del sistema di assegnazione dei titoli concessori bensì attraverso una sorta di pericoloso surrogato del defunto diritto di insistenza, surrogato rappresentato da una catena di proroghe e rinnovi disposti per legge, l’ultimo dei quali (quello del 2018) avrebbe dovuto portare un’estensione generalizzata della durata delle concessioni fino al 2033.
Interviene innanzi tutto Corte Cost. n. 180 del 2010 (v. anche Corte cost. n. 118/2018: le Regioni non possono tutelare l’affidamento), occupandosi di una legge delle Regione Emilia-Romagna che attribuiva ai titolari di concessioni demaniali marittime il diritto a una proroga della durata della concessione fino a un massimo di 20 anni. Viene quindi dichiarata l’illegittimità di leggi regionali che avevano previsto, pur se a talune condizioni, la proroga automatica delle concessioni del demanio marittimo a favore del soggetto già titolare, evidenziando come la proroga o il rinnovo automatico, determinando una disparità di trattamento tra operatori economici mediante preclusioni o ostacoli alla gestione dei beni demaniali oggetto di concessione, violino, in generale, i principi del diritto comunitario in tema di libertà di stabilimento e tutela della concorrenza. La disposizione impugnata viola, dunque, la competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela della concorrenza.
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Le posizioni della giurisprudenza: le posizioni pro-concorrenziali della Corte di giustizia. La giustizia amministrativa nazionale schierata (quasi) unanimemente in favore della disapplicazione delle norme nazionali che prorogano/rinnovano le concessioni in essere. Da ultimo: l’Adunanza Plenaria e la moratoria al dicembre 2023 per lo svolgimento delle gare.
La Corte di Giustizia ha quindi bocciato le proroghe ex lege al 2020 (C.G.U.E., sentenza 14 luglio 2016, cause riunite C-458/14 e C/67/15, Promoimpresa srl e a. contro Consorzio dei comuni della Sponda Bresciana del Lago di Garda e del Lago di Idro e a.), in merito al meccanismo di proroga ex lege fino al 2020, poiché il meccanismo costituisce una violazione dei principi di libertà di stabilimento, non discriminazione e tutela della concorrenza ex artt. 49, 56 e 106 T.F.U.E., nonché dell’art. 12 Direttiva Bolkestein (e del correlativo obbligo di svolgimento di una gara per il rilascio di concessioni).
La giurisprudenza amministrativa (v. ad es. Cons. Stato, sez. VI, n. 3412/2018), e alle spalle di questa quella europea, continua a ribadire agli enti pubblici coinvolti nei contenziosi il dovere di disapplicare la proroga/rinnovo di fonte legislativa. Quindi ogni concessionario ha vissuto questi anni, con la consapevolezza che un eventuale contenzioso amministrativo (relativo, ad esempio, ad un diniego amministrativo di rinnovo) lo avrebbe visto soccombente, e quindi esposto al rischio di perdere il titolo.
Si aggiungano a ciò i rischi di tipo penale: alla disapplicazione del titolo concessorio rinnovato, disapplicazione pretesa dal giudice amministrativo, si è talvolta accompagnata l’avvio di indagini, con annesse condanne da parte della cassazione penale, per il reato di occupazione abusiva del bene, condanne ricordiamo a carico di un soggetto che pur deteneva un titolo amministrativo cui la legge attribuiva una scadenza successiva a quella della condanna (v. Cass. penale, sez. III, 9 aprile 2013, n. 33170).
In questo contesto si collocano le Adunane Plenarie nn. 17 e 18 del 2021, nonché la conseguente legge concorrenza per il 2021 (l. n. 118/2022), che hanno rappresentato un autentico shock, fissando lo sbarramento temporale al 31 dicembre 2023.
Non siamo ingenui, tutti – operatori e non – sapevamo di questa situazione di conflittualità con l’UE e la direttiva in particolare, ma nessuno si aspettava che il problema fosse affrontato in modi così bruschi e particolari (ergo: nomopoietici), ossia con la fissazione di un termine di scadenza da parte di un giudice.
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Il tentativo “estremo” del milleproroghe. La procedura di infrazione che incombe.
Dopo le Adunanze Plenarie del 2021, c’è stato l’estremo tentativo “di breve periodo”, l’inserimento nel milleproroghe (d.l. n. 198/2022) di una norma che posticipava di un anno, al 2024, il termine scadenza dei titoli concessori.
È stata confermata anche la possibilità di un ulteriore anno di deroga, fino al 31 dicembre 2025, per le amministrazioni comunali che dovessero riscontrare difficoltà oggettive a espletare i bandi a causa di contenziosi o carenza di risorse umane.
Inoltre, in base a un altro emendamento approvato, i Comuni non potranno indire nessun bando di gara per riassegnare le concessioni fino al prossimo 27 luglio, data limite affinché il governo completi la mappatura del demanio marittimo per appurare la quantità di spiagge libere e occupate.
Tale tentativo è stato fatto fallire prontamente dal Consiglio di Stato con una sentenza del 1° marzo scorso, sez. VI, n., 2192/2023, che in un obiter ne ha preteso la disapplicazione per giudici e amministrazioni.
Ora, è chiaro l’intento politico che ha animato il milleproroghe, ma altrettanto interessanti sono le motivazioni ufficiali di questa tentata proroga:
– la mappatura delle spiagge, per capire se c’è quel presupposto di scarsità del bene (spiaggia da affidare in concessione) che è esplicitato dalla direttiva Bolkenstein;
– istituire un tavolo tecnico che si occupasse di fornire una traccia lungo la quale costruire in concreto le procedure di assegnazione e anche di corresponsione degli indennizzi e della premialità agli uscenti.
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Il problema del tipo di procedure dovranno essere effettuate per l’affidamento del demanio balneare con gara, e il tema dell’indennizzo per i concessionari uscenti