Nella settimana in cui l’Unione Europea ha incontrato i Paesi della regione dell’indo Pacifico e dell’Associazione delle Nazioni del Sud-est Asiatico (Asean), Giorgia Meloni è volata in Giappone. A Tokyo, la presidente del Consiglio ha inaugurato di fatto il G7 italiano, ma la visita è stata anche un’occasione per rinnovare la presenza dell’Italia nella regione. Presenza che passa anche dall’invio del più importante assetto navale della Marina Militare, Nave Cavour, per una missione di Naval Diplomacy ed esercitazioni con alcuni partner indo-pacifici (a cominciare proprio dal Giappone).
Tokyo è l’Indo Pacifico “Tutti ormai hanno compreso l’importanza dell’Indo Pacifico, regione cruciale per i nostri interessi, per il nostro futuro, pochi però ricordano che l’idea stessa di Indo Pacifico nasce in Giappone e sostituisce la vecchia visione dell’Asia Pacifico”, mi ha detto, commentando il viaggio di Meloni e le relazioni con Tokyo, Paolo Formentini, motore del Comitato Indo Pacifico della Commissione Esteri della Camera (di cui è presidente). “L’Ue ha ulteriormente coltivato le sue relazioni con i principali attori dell’area indo-pacifica come l’India e gli stati dell’Asean. Il Giappone ha fatto lo stesso”, scrive in un’analisi il Ceps. “Al di là della vicinanza geografica e culturale con il Giappone, questi Paesi sono fondamentali per la crescita demografica ed economica della regione. La loro crescente importanza politica nelle istituzioni multilaterali interagisce con le acute sfide dello sviluppo: pochi di loro si sono completamente ripresi dopo la pandemia e molti stanno già subendo il peso del cambiamento climatico”. Questi interessi simili sulle sfide globali sono ciò che sprona la cooperazione Ue-Giappone nell’Indo Pacifico anche secondo un paper della Sasakawa Peace Foundation (che riguardo all’attività nipponica nella regione ha un certo peso).
Il vertice e le narrazioni Il ministro degli Esteri giapponese, Yōko Kamikawa, Penny Wong dell’Australia, Subrahmanyam Jaishankar dell’India e il nuovo ministro sudcoreano, Cho Tae-yul, hanno tutti saltato l’incontro europeo. Al loro posto hanno partecipato funzionari di livello inferiore. Fonti Ue sollecitate su queste assenze mi hanno sottolineato che serve però guardare “alla presenza di un gran numero di delegazioni all’incontro di Bruxelles, dove ci sono stati 20 ministri europei e circa 25 ministri della regione indo-pacifica, su un totale di circa 70 delegazioni”. La narrazione che esce da questo vertice riguarda un’Ue interlocutrice dell’Indo Pacifico, e anche a questo è servito mantenere Cina e Stati Uniti esterni. Il ruolo che l’Europa vuole avere è quello di attore schierato a livello ideologico su diritti e democrazia, ma esterno al dualismo sino-americano, alle dinamiche di competizione tra potenze.
Multipolarità? Se è vero (è vero?) che è in costruzione un mondo multipolare, allora l’Ue ambisce a essere un polo distinto, sebbene non distante dagli Usa per via dell’omologia di visione: è d’altronde questa base che costruisce il sistema dei cosiddetti “like-minded” occidentali che compatta in un “Occidente ideale” Giappone, Corea del Sud, Australia, ma anche Taiwan e India in qualche modo. Per ora, finché la competizione Pechino-Washington resta più o meno controllata, c’è spazio per certe dinamiche.
Multi-allineamento Anche perché è chiara la volontà di Paesi, come quelli del blocco Asean, che non possono rompere la profonda interconnessione — innanzitutto economica, ma anche culturale — con la Cina, mentre guardano con grande attenzione anche all’Occidente ideale. E per il momento le attività del blocco europeo partono dalla consapevolezza (chiara?) che queste realtà preferiscono il multi-allineamento, perché percepiscono occasioni di sviluppo e crescita possibile solo attraverso una stabilità composita — che divisioni profonde, fenomeni di insicurezza e destabilizzazione varia impedirebbero.
EURASEAN
“Ci dividono molti chilometri, ma i nostri destini sono legati”, è questo il senso del messaggio con cui la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, è intervenuta al vertice Eu-Asean. Due i temi chiave che ha calcato nel suo discorso: l’urgenza di affrontare il cambiamento climatico; le implicazioni della transizione energetica. VdL ha cercato di mettere insieme queste tematiche, molto sentite dai Paesi dell’associazione del Sud-est asiatico, dimostrando come su tutto possono esserci conseguenze geopolitiche.
NAVE CAVOUR E GLI ALTRI
Quella del Cavour annunciata ufficialmente da Meloni a Tokyo – anticipata su Formiche.net quasi un anno fa – “è una visita senza precedenti a livello di importanza, con il viaggio della presidente Meloni che diventa quindi un momento importante per consolidare il significato politico della missione navale, sia per i rapporti italo-giapponesi, sia per il ruolo dell’Italia in quanto Paese marittimo di rilievo in ambito Europeo”, mi ha detto Alessio Patalano, docente di War & Strategy in East Asia al King’s College di Londra e direttore del Japan Programme dell’ateneo britannico. La portaerei Stovl italiana non sarà la sola nave militare europea a visitare l’Indo Pacifico nei prossimi mesi: la Marina tedesca darà il via al suo dispiegamento nella regione con la fregata Bayern e una nave ausiliaria a maggio di quest’anno. Il capo della Marina tedesca, il vice ammiraglio Jan Christian Kaack, ha rivelato questo dettaglio in un recente episodio del Q&A “Nachgefrag”, prodotto direttamente dalla Bundeswehr. La Francia si era già attivata con missioni dirette negli scorsi anni (nel 2021 emerse per esempio il periscopio dell’Emeraude tra le acque del Mar Cinese).
NATO E CINA
Il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, e il consigliere per la sicurezza nazionale statunitense Sullivan hanno dichiarato in una conferenza stampa a Bruxelles. mercoledì, che la Cina sarà uno degli argomenti del vertice dei leader della Nato di Washington, questo luglio. È un altro elemento della postura europea nei confronti dell’Indo Pacifico. Da riflettere: quella volontà di farsi almeno percepire terzi si abbina all’ascesa cinese che è comunque considerata un minaccia per la prosperità del blocco transatlantico. “I nostri concorrenti stanno sempre più unendo le forze e la crescente cooperazione della Russia con Cina, Iran e Corea del Nord solleva serie preoccupazioni”, ha detto Stoltenberg. Per la terza volta consecutiva, i leader di Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda saranno invitati al vertice, ma “non si tratta di portare la Nato in Asia”, ha sottolineato Sullivan, facendo riferimento alle ripetute preoccupazioni di Pechino sull’espansione dell’alleanza militare nel suo cortile – preoccupazioni condivisa anche da una serie di importanti attori, che non vogliono che la regione diventi teatro soltanto della competizione tra potenze.
LASCIATI SOLI
“Potremmo perdere la maggioranza dell’industria europea nei prossimi due mesi se non c’è un forte segnale politico”, ha detto a Politico Johan Lindahl, segretario generale dell’European Solar Manufacturing Council. Mentre VdL parla di transizione energetica e cambiamenti climatici con l’Asean, stanziando miliardi di euro per accelerare l’installazione di pannelli solari in tutta Europa, si sta costruendo una dipendenza schiacciante dai prodotti cinesi, compresi quelli della regione dello Xinjiang (che è al centro delle violazioni dei diritti umani, come documentato dalle Nazioni Unite). Tutto mentre un nuovo rapporto dell’Università di Fudan suggerisce uno spostamento verso la tecnologia e le energie rinnovabili nei futuri progetti della Belt and Road Initiative – che per altro crescono come mai dal 2018. (Riflessione collegata: due quinti del Pil cinese sono legati alle industrie della transizione, che viaggiano a ritmi record e sono appoggiati in varie forme dal Partito/Stato. Otto Lanzavecchia si chiede, tra l’aumento del protezionismo all’estero, le crisi economiche interne e la fiducia dei consumatori ai minimi, se il modello cinese sarà ancora sostenibile).
USA, UE, INDO PACIFICO
Stefano Sannino non sarà solo ai Raisina Dialogue: in questi giorni è a Washington e terrà una serie di incontri tra funzionari statunitensi e think tank. Martedì il Senato ha confermato la nomina della sua nuova controparte, Kurt Campbell, come vice segretario di Stato degli Stati Uniti. Con Sannino avrà se non il primo, uno dei primi incontri internazionali formali. Finora Campbell era “Indo-Pacific co-ordinator” dell’amministrazione Biden, e secondo il Financial Times dopo di lui quell’incarico non verrà replicato. Questo potrebbe lasciare scontenti alcuni Paesi, perché tramite Campbell avevano un accesso più diretto alla Casa Bianca e invece da vice segretario avrà un compito meno specifico. Tuttavia, la promozione è indice di come Washington intenda dare priorità anche alle competenze sulla regione.
TAIWAN, UE, INDO PACIFICO
Aurelio Insisa dello Iai mi ha inviato il testo della sua audizione al Comitato Indo Pacifico della Camera (lo abbiamo pubblicato per intero su Formiche.net). Si parla di come la presidenza di William Lai, vincitore delle recenti elezioni taiwanesi, influirà sugli equilibri della regione. Domanda: Cosa comporta quindi il risultato elettorale dello scorso gennaio per l’Indo Pacifico e per il nostro Paese? “Basandomi su un’analisi della campagna elettorale e della situazione politica a livello domestico e regionale, sono dell’opinione che la Presidenza Lai, nonostante sostanziali differenze nel profilo politico e personale tra Lai e Tsai, opererà in continuità con quella del suo predecessore. Taipei continuerà ad enfatizzare il suo ruolo di bastione liberal-democratico contro le autocrazie, cercherà di approfondire ulteriormente i propri rapporti non soltanto con partner consolidati quali gli Stati Uniti e il Giappone, ma anche con l’Unione Europea e i suoi Paesi membri, Italia compresa”, spiega Insisa. Cosa può e deve fare l’Italia quindi? “In primo luogo, pianificare sia per il breve che per il medio termine. Per il breve termine l’Italia dovrebbe continuare a contribuire, con le sue capacità, a mantenere la stabilità nella regione, in altre parole a contribuire alla stabilità nello Stretto di Taiwan in maniera indiretta attraverso una presenza in Asia Sudorientale e orientale. Da questo punto di vista è da apprezzare la prossima presenza della Cavour, della Vespucci e dei nostri F-35 nella regione, come annunciato ieri dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Ritengo tuttavia altamente problematico per il nostro Paese un transito nello Stretto di Taiwan. Credo sia un’opinione condivisa dal nostro governo e dalla nostra diplomazia”.
DIARIO DALL’INDO MEDITERRANEO
Iran, Cina, Russia preparano una nuova esercitazione congiunta nell’Indo Mediterraneo. Mi sono un po’ guardato allo specchio rimettendo insieme in un thread su X gli articoli che dal 2019 (prima volta del threenaval) a oggi ho scritto sulle esercitazioni che li coinvolgono. Cinque anni fa parlavamo di un tentativo di cooperazione, poi negli anni abbiamo iniziato a scrivere di prove per la cooperazione, ora siamo al punto che i tre Paesi che guidano il blocco revisionista (dell’ordine globale occidente-centrico) stanno testando l’efficacia di quella cooperazione – che è ormai consolidata. Ossia, l’attività formale si è sostanzialmente evoluta tra i tre dal punto vista militare – ma non solo. Per dire, sono tutti membri della Shanghai Cooperation Organization, e quest’anno l’Iran entra nei Brics. O ancora: nei giorni scorsi il ministro della Difesa cinese ha offerto al suo omologo russo il sostegno “pieno” per la campagna di invasione in Ucraina, dove la Russia combatte Kyiv anche grazie alle armi iraniane. Allo stesso tempo, sempre nei giorni scorsi, sono usciti i dati che confermavano come la Cina stia mantenendo vivo il settore petrolifero iraniano, nonostante esso sia colpito da sanzioni primarie e secondarie statunitensi legate al procedere del programma nucleare di Teheran. Tutto mentre dalla guerra ucraina Pechino è diventato il primo acquirente del petrolio russo (bonus: servisse, in mezzo c’è anche la Corea del Nord).
. Se è vero che nelle relazioni internazionali tutto si lega, allora va appuntata nel diario anche questa: in risposta ai recenti attacchi statunitensi in Iraq e Siria, il portavoce del ministero degli Esteri cinese ha affermato che la Cina si oppone a qualsiasi azione che violi la Carta delle Nazioni Unite e infranga la sovranità territoriale e la sicurezza di altri Paesi. “La situazione attuale in Medio Oriente è estremamente complessa e delicata. La Cina esorta tutte le parti coinvolte a rispettare il diritto internazionale, mantenere la calma e la moderazione ed evitare un’ulteriore escalation o addirittura la perdita di controllo della tensione regionale”. L’intervento del ministero cinese segue una narrazione classica: sia sulla guerra in corsi in Ucraina (ricordate l’inviato Liu Hui a Gedda?) sia riguardo all’invasione di Gaza, Pechino ha spesso tirato in ballo la UN Charter, ora la utilizza come proxy narrativo per incolpare (come già fatto in altre occasioni) gli Stati Uniti di creare destabilizzazione ed escalation nella regione mediorientale. La vicenda specifica a cui si riferisce il portavoce è l’attacco americano contro le milizie finanziate dall’Iran, responsabili non solo della morte di tre militari statunitensi nella base Giordana Tower 22, ma anche di oltre 150 attacchi contro postazioni statunitensi dal 7 ottobre ad oggi. Il Pentagono descrive queste azioni come “autodifesa”, la Cina le usa per veicolare il suo messaggio — “gli Stati Uniti sono guerrafondai”, detto con l’accetta — e parlare a un blocco di Paesi che, seppure in forma non direttamente attiva, ambisce a una pragmatica stabilità tout court. Serve evidenziare che con questo comportamento Pechino in sostanza giustifica la destabilizzazione, prodotta dai proxy iraniani come forma di influenza regionale, anche con la consapevolezza che per il momento le attività cinesi in Medio Oriente non vengono considerate come potenziali target (è stato per esempio il portavoce degli Houthi, a dire che le navi russe e cinesi non saranno attaccate dai missili iraniani che utilizzano per destabilizzare le rotte indo mediterranee tra Europa e Asia).
. Nel frattempo, lungo un altro asse indo-mediterraneo qualcosa torna a muoversi. Dopo mesi di pausa sul Corridoio economico India-Medio Oriente-Europa (Imec), che è stato lanciato durante il vertice del G20 nel settembre 2023 ma in stallo a causa del conflitto Israele-Hamas, il governo indiano dovrebbe portare avanti i colloqui sul progetto questo mese, quando il primo ministro greco, Kyriakos Mitsotakis, sarà a New Delhi per i Raisina Dialogue. Mitsotakis, che dovrebbe essere l’ospite principale all’evento annuale organizzato dal ministero degli Affari Esteri e dal think tank Orf (tra 21 e 23 febbraio), aveva già avuto discussioni preliminari sul posizionamento della Grecia come centro regionale per il commercio in Europa. Ne aveva parlato quando il primo ministro indiano, Narendra Modi, si era recato ad Atene nell’agosto 2023. Il nodo greco sarà il porto del Pireo, che però è cinese, come faceva notare tra gli altri Carnegie (scriveva il think tank: “Non è chiaro se l’India e gli Stati Uniti abbiano trascurato questa importante considerazione strategica, o se tenteranno di acquistare partecipazioni nel Pireo e spostare l’equilibrio di potere da Cosco”, la società che controlla molte parti dello scalo). Secondo il The Hindu, durante i Raisina Dialogue, il tema Imec sarà anche tra quelli trattati negli incontri di alto livello con il consigliere per la Sicurezza nazionale degli Stati Uniti, Jake Sullivan, e il segretario generale dell’Unione europea, Stefano Sannino. L’India continua a essere molto interessata al grande progetto di connessione (“imperativo strategico” dell’Italia): nel suo recente discorso sul Bilancio, il ministro delle Finanze indiano, Nirmala Sitharaman, lo ha definito un “punto di svolta strategico”.