Senza una riforma dell’indennità di accompagnamento, ogni tentativo di arrivare a un sistema efficace di assistenza agli anziani non autosufficienti è destinato a fallire. Il recente intervento del governo non affronta i nodi centrali della questione.
L’assistenza agli anziani non autosufficienti
La “prestazione universale per gli anziani” è il nuovo strumento sperimentale per il contrasto alla non autosufficienza che entrerà in vigore dal 1° gennaio 2025. Proprio a partire dall’annuncio della nuova misura, due contributi su lavoce.info hanno fatto il punto sullo stato di avanzamento della faticosa riforma della long term care in Italia. L’esigua platea dei percettori della nuova prestazione, circa 30 mila individui, rispetto ai 3,8 milioni di non autosufficienti misurati da Istat, o anche rispetto agli 1,4 milioni stimati con criteri più restrittivi e solo sulla popolazione con più di 65 anni, la presenza esplicita di forme stringenti di controllo dei mezzi – la prestazione sarà erogata solo a non autosufficienti gravissimi con Isee inferiore a 6 mila euro – e la durata limitata a due anni del finanziamento segnalano che i tempi di un impegno riformatore serio e coraggioso in questo delicato settore della spesa sociale non sono ancora maturi. La misura, approvata con decreto attuativo, si aggiunge di fatto all’indennità di accompagnamento (Ida), la principale prestazione pubblica di long term care in Italia, senza affrontare il tema della sua riforma, come invece era previsto nell’originaria legge delega, frutto di un lungo e complesso processo di interazione e collaborazione tra esecutivo e forze sociali interessate al tema e rappresentate dal Patto per la non autosufficienza.
I problemi dell’indennità di accompagnamento
Ma perché riformare il sistema di long term care in Italia è così difficile? Ci concentriamo qui proprio sull’indennità di accompagnamento, una prestazione monetaria in somma fissa, ovvero non graduata in ragione delle condizioni di salute e di reddito e patrimonio, introdotta in Italia nel corso degli anni Ottanta del secolo passato. Nelle stime della Ragioneria generale dello stato la prestazione, il cui importo è di poco superiore ai 500 euro mensili, copre circa il 45 per cento della spesa complessiva per la cura dei non autosufficienti. Nel 2023, dice l’Inps, il numero complessivo delle indennità di accompagnamento è stato pari a 2,2 milioni di prestazioni con una spesa di 13,3 miliardi di euro. È del tutto evidente che senza un intervento su questa prestazione qualsiasi auspicio riformatore ne uscirebbe frustrato.
Uno sguardo a come l’Ida si è sviluppata nel tempo aiuta a capire molti dei vincoli che rendono difficile quel cambio di passo che, invece, sarebbe quanto mai necessario per dotare l’Italia di uno strumento efficace di contrasto alla non autosufficienza. I dati Inps ci permettono di calcolare che la spesa complessiva per Ida era pari allo 0,37 per cento del Pil nel 2002, ha raggiunto lo 0,8 per cento del Pil nel 2020 ed è scesa allo 0,65 per cento del Pil nel 2023.
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La figura 1 poi esplicita i fattori che spiegano la dinamica della spesa reale, cioè quella al netto dell’inflazione. Per il periodo che va dal 2002 al 2023, la figura riporta l’andamento normalizzato del numero di prestazioni erogate e del loro valore medio, misurato a prezzi costanti e quindi depurato dall’inflazione. Il numero totale di prestazioni Ida erogate (scala di destra) è più che raddoppiato nel periodo preso in esame. La crescita, impetuosa fino alla fine del primo decennio del 2000, ha rallentato la sua velocità, ma non si è arrestata nella seconda parte del periodo. In termini reali, invece, l’importo medio della prestazione (scala di sinistra) ha conosciuto una continua riduzione, che risulta particolarmente importante nel corso dell’ultimo biennio. Nel 2023 il valore reale dell’indennità era pari a meno dell’85 per cento di quello del 2002.
Figura 1 – Dinamica normalizzata del numero di prestazioni Ida (dx) e del suo importo medio reale. 2002- 2023
Due fattori contribuiscono a spiegare l’effetto “numero”: i) l’invecchiamento della popolazione e, in particolare, la crescita del numero di individui con più di 80 anni; ii) gli orientamenti delle politiche di accertamento e verifica dei requisiti sanitari per i nuovi richiedenti e la campagna di verifica nei confronti dei beneficiari esistenti realizzatesi a partire dal 2010 (si veda l’art. 20 della legge 102/2009; circolare Inps n. 131 del 28.12.2009 e l’art. 18, comma 22 del Dl 6.7.2011).
Il primo effetto è “meccanico”: la probabilità di diventare non autosufficiente cresce in maniera più che proporzionale nella fase finale della vita e diventa molto elevata proprio dopo gli 80 anni. Il numero di individui oltre questa fascia d’età era pari a 2,1 milioni nel 2002 ed è diventato pari a poco più di 4 milioni nel 2022. Non stupisce, dunque, che la demografia abbia giocato un ruolo di spinta alla crescita numerica delle prestazioni.
Sul secondo effetto può essere interessante considerare la figura 2, dove l’andamento normalizzato delle prestazioni Ida è scomposto per macroarea. Il rallentamento nella crescita delle prestazioni erogate successivamente al 2010 è molto differente tra le macroregioni italiane. Al netto di differenze che possono derivare da eterogeneità nelle condizioni socio-demografiche ed epidemiologiche tra le aree, è evidente che il tema dell’individuazione di un criterio uniforme e coerente per la determinazione delle condizioni di eligibilità per l’erogazione della prestazione si pone con particolare urgenza, anche per contenere spiacevoli fenomeni di iniquità orizzontale.
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