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DAL TIRONE ALLO SCALONE ED OLTRE- Capitolo II°

Mauro D’Aprile BELVEDERE MARITTIMO Storia di una Città. CAPITOLO II°     I Longobardi di Salerno

Nel 774 i Longobardi, con il crollo del Regno di Pavia, costituirono il Ducato di Benevento, rimasto un appendice, per due secoli, del regno settentrionale. Per ragioni diverse da quelle Saracene, interessarono con incursioni, via mare, la nostra terra.

 La progressiva conquista dei Longobardi che già con il Duca Arechi I (590-640) si estese dal Sannio sino a Capua e a Salerno portò gli stessi ad affacciarsi sul Tirreno, e verso il mare continuò ad esercitarsi la loro spinta aggressiva.

Affresco Longobardo in                   Castello Longobardo di Salerno 
Santa Sofia  Benevento                    costruito da Arechi I°
 
 

La conversione al cattolicesimo, insieme ai contatti più frequenti col mondo circostante, li portarono gradualmente, ma in modo irreversibile, ad apprendere, ad assimilare, a desiderare modi di vita e di esercizio del potere più avanzati rispetto alla loro tradizione.

  

                                          Chiesa di S.Sofia con affreschi di Arechi I°
https://www.youtube.com/watch?v=fGIn5zJ_gi0 
 

I Longobardi impararono ad amare queste terre, i loro prodotti, le loro rendite, a convivere con le popolazioni soggette; un ceto dirigente guerriero apprese i vantaggi della residenza stabile e solida, del cibo sicuro, della dolcezza del clima, apprese a desiderare di più e di meglio, gettando lo sguardo e portando le armi sulle zone ai loro occhi più ricche della Campania, della Puglia, della Calabria.

Per due secoli i duchi beneventani consumarono un’esperienza di conquiste e arretramenti, di ostilità e instabile equilibrio con l’orizzonte romano-bizantino. Nonostante il permanere di rivalità a colpi di mano interni, tra i principi di Capua e Salerno si realizzarono anche intese per azioni comuni contro i Bizantini e contro la romanica Napoli; vi furono alleanze matrimoniali e perfino qualche episodio di collaborazione contro gastaldi ribelli.

Attraverso di esse la Longobardia meridionale tendeva a riproporsi come un’area politicamente coerente, nella memoria dell’originaria unità ed in forza dei fittissimi legami che, al di là delle scissioni, intercorrevano tra le parti separate. Il ravvicinamento divenne addirittura unificazione, ma per brevissimo tempo, sotto il principe Capuano Pandolfo I, detto Capodiferro (961-981), quando il Mezzogiorno longobardo emerse fra le più importanti entità politiche dell’Italia e fu il terreno di un duro conflitto, ideologico e militare, fra l’impero bizantino e l’impero d’occidente, rinnovato in Germania dal bellicoso ed autoritario Ottone I di Sassonia.

Solo a Salerno la struttura del principato superò senza danni la crisi provocata dalla influenza tedesca nel Sud. Il potere era stato assunto nel 983 dallo spoletino Giovanni, che Pandolfo Capodiferro vi aveva imposto come tutore del figlio Pandolfo II.

Nonostante questa origine, il nuovo principe si inserì nella consolidata struttura di tradizioni ed interessi del principato; senza difficoltà diede avvio ad una nuova dinastia che durò un secolo e manifestò la sua integrazione assumendo i nomi personali tipici della precedente.

       

     

Il principato di Salerno confermò la vocazione marittima, organizzando una propria struttura commerciale, fondata su una catena di porti che da Salerno, per le foce del Sele, Agropoli, Velia, Policastro, e l’Alto Tirreno Calabro, costituivano le tappe della navigazione verso lo stretto di Messina ed i terminali commerciali dell’entroterra.

  

                             Salerno Castello Longobardo                  Vista sul Golfo
 

Ne risultò una straordinaria prosperità. I principi ebbero ricchezze enormi per la loro politica; Salerno divenne celebre per la opulenza, oltre che per l’abilità dei suoi medici. L’orgoglio cittadino assunse per sé la tradizione longobarda, ponendosi come sintesi privilegiata di essa. Anche nei centri meno importanti le cittadinanze assumevano fisionomia e coscienza di corpi politici.

Con la nuova dominazione numerose località vengono quindi dotate di un Castrum, in questo caso un castello o rocca, in sostanza un edificio adibito a dimora feudale e circondato da mura e torri, a capo del quale viene posto un “gastaldo”.

Infatti prima del secolo XI non esiste un centro di gastaldato (cioè una circoscrizione amministrativo-militare) senza il suo castello, in quanto l’influenza longobarda non determina strutture feudali tali da rendere necessario un incastellamento.

Se si trascura l’identificazione del castrum con il villaggio fortificato, difficilmente caratterizzato da elementi materico-costruttivi omogenei, e si analizza l’accezione di edificio munito rispondente ad una voluta e specifica visione d’insieme, si incorre nell’idea generalizzata del tipico castello medioevale.

In effetti, dal punto di vista tipologico, bastano un fossato ed un terrapieno (ma talvolta anche solo una  cortina muraria) affinché l’area così munita possa essere definita castrum.

                                           Castrum Longobardo in provincia di Salerno
 
 

Nel cortile interno è, inoltre collocata spesso la fortezza signorile, la rocca, residenza della massima autorità locale o del suo vicario, nonché sede delle milizie e degli organi della sua curia. Nei casi in cui il castrum designa invece, come a Belvedere, un’area non munita si assiste alla sua trasformazione in sobborgo del fortilizio e della zona più alta dell’abitato dai quali, viene ben controllata e protetta.

          Dal Belloviderii cap 3:

“Rimane incerta l’epoca, per la mancanza di documenti di riferimento, in cui venne costruita la prima fortezza sul ripido colle. Certamente per la sua posizione strategica fu interessato dalla prima fase dell’incastellamento che prese l’avvio con le conquiste longobarde. Potrebbe essere interessante l’ipotesi della relazione con il gastaldato di Malvito facilmente raggiungibile attraverso il passo dello Scalone, che però non gode di approfondimenti nella ricerca storica. A questo proposito viene affermato che i Longobardi: “ arroccati a Malvito, distrussero Civita in località Quattro Timponi sulla via istmica, i cui abitanti confluirono sulla fortificazione di Belvedere”. Polo politico di riferimento in questo periodo è Malvito, già sede di importanti conventi e abbazie sin dalla prima fase degli insediamenti orientali, con i Longobardi divenne sede del Gastaldato e dal 989 Diocesi latina.

E’ da ascrivere a questo periodo il culto di san Michele Arcangelo a Blanda, probabilmente su precedente cappella orientale, localizzabile però più in alto sul pianoro. Infatti questo culto, pur essendo già presente con gli insediamenti bizantini, in quanto loro patrono fu diffuso dai longobardi dal santuario di Sant’Angelo sul Gargano in tutti i loro possedimenti.

La Calabria fu interessata al dominio Longobardo dalla prima metà del secolo VII, ed è a questo periodo che può risalire la fortificazione del Bellumvidere a motivo della sua conformazione di sito facilmente difendibile, e quindi conforme alle esigenze  strategiche dell’azione militare Longobarda che privilegiavano la difesa del territorio mediante torri fortificate in legno e a trincee di sbarramento tutt’attorno l’abitato”.

Segno di fortificazioni dei così detti centri altomedioevali dello stesso periodo si ritrovano su Sasso dei Greci a Buonvicino, i Casalini presso S.Sosti, il Castra Mercurio e Raione presso Orsomarso, Trincello a Verbicaro, Castelluccia al Passo dello Scalone.  Per quanto riguarda il ruolo delle fortificazioni considerate, pur essendo valide le considerazioni metodologiche di cui sopra, è innegabile il ruolo militare di una parte di esse, per esempio di quelle di S. Sosti e Cerisano, rivelato chiaramente dall’impianto architettonico. Esse è probabile siano da ricondurre a tempi precedenti il IX secolo, quando la frontiera bizantino-longobarda aveva il proprio baricentro più a sud nella Calabria e quando il ducato beneventano esercitava il proprio dominio incontrastato nella valle del Crati. A partire circa dalla seconda metà del VII secolo, infatti, i Bizantini controllavano le aree più meridionali della Calabria e la costa orientale ionica da Rossano a Taranto, fino alla penisola salentina. Quando il porto di Taranto cadde in mano agli arabi, che lo detennero per un quarantennio, dall’840 all’880, furono certamente i porti calabresi della costa ionica che assicurarono il collegamento marittimo con Otranto.

La natura militare dei castra di S. Sosti e Cerisano suggerisce una tipica strategia difensiva di sbarramento (da questo punto di vista il muro tuttora visibile che si dirama da uno dei lati lunghi del recinto fortificato di Casalini e chiude l’imbocco della valle sottostante è esemplare), che consiste nel concentrare le forze militari in corrispondenza dei valichi e dei passaggi per frenare sul nascere l’avanzata degli eserciti nemici, cercando d’impedire l’ingresso di questi ultimi nei propri domini. In una strategia di questo tipo, nel caso che tali protezioni venissero superate dagli avversari, un ruolo militare ugualmente importante è rivestito dalle città fortificate e dalle altre fortificazioni di rifugio, che dovevano impegnare e fiaccare definitivamente le forze degli invasori, già messe alla prova in corrispondenza delle roccaforti di confine.

Ecco che i centri urbani più grandi e importanti, nonché militarmente meglio attrezzati del territorio, spesso sedi di istituzioni amministrative e di funzionari politici, fiscali e militari, come Cosenza, Bisignano, Laino, Rossano, Cassano, Belvedere, Amantea e probabilmente anche Oriolo, condividevano alcune caratteristiche comuni: innanzitutto la presenza di mura perimetrali piuttosto solide e resistenti, la posizione strategicamente importante e anche la soluzione insediativa adottata, che consisteva nell’arroccamento del centro urbano su un altopiano roccioso o in luogo soprelevato, dal quale dominava i territori circostanti e che offriva tutte le protezioni naturali del caso. Queste ultime, unite alle fortificazioni artificiali, rendevano la città difficilmente espugnabile. In casi del genere, solitamente la città, eventualmente munita di un mastio o di un castello che era posto sulla cima del colle, si sviluppava espandendosi con i suoi suburbia verso il basso, lungo il declivio montuoso.

La frontiera militare longobarda, comunque, nella misura in cui essa sussistette nella realtà, è opinione piuttosto recente che fu smessa con la riconquista bizantina, quando essa perse di efficacia. Ciò avvenne a causa anche delle guerre civili che logorarono i principati longobardi campani a partire dalla seconda metà del IX secolo e dell’incapacità di Salerno di fronteggiare la minaccia saracena nei territori periferici del principato, che, dunque, furono facilmente ripresi dall’esercito bizantino, complice il quadro socio-politico estremamente incerto.

Nella fase bizantina/longobarda e quindi tra il VII e X secolo d.C. per la sua posizione strategicamente importante, la località fortificata del Belvedere ha già una propria torre di difesa e un borgo fortificato, e quindi capace di accogliere e dare sicurezza alla popolazione, in un periodo particolarmente interessato dalla instabilità della vita per i continui conflitti che intercorrevano tra i longobardi e i bizantini e le frequenti incursioni saracene.”

A questo proposito dal “Bellumvidere” si apprende:

Nel 1046 un certo Guglielmo Barbote, al soldo del principe di Capua Pandolfo IV, occupa il Castello di belvedere togliendolo al Principe di Salerno Guaimaro IV; e da lì compie varie scorrerie provocando danni al principato di Salerno. Allora Guaimaro ricorre all’aiuto del re normanno Dragone, che cinge d’assedio il castello; ma non era possibile prenderlo per l’altezza del monte. Però un contadino ebbe l’idea di raccogliere dei rami d’albero e di porli alla base del castello; il suo esempio fu seguito dagli altri che a poco a poco lo circondarono di fascine. Quando l’ebbero tutto rivestito di legna alla base, con le molle per attizzare il fuoco, che lui portava con se accese il legname e il castello fu arso”. 

(pagine 106-107 del libro “Storia dei Normanni volgarizzata in antico francese” di Amato di Montecassino, pubblicato in Roma nel 1935: l’Historia Normannorum del monaco benedettino Contemporaneo al periodo in esame, è andata perduta. Quella che resta è una traduzione francese del Secolo XIV° conservata nella Biblioteca Nazionale di Parigi.

La scarsa presenza di tracce materiali di fortificazioni attribuibili con certezza ai Longobardi è imputabile al fatto che  il loro intervento nell’edilizia munita si limita quasi ovunque all’affidamento di incarichi a maestranze locali che sono libere di realizzarli secondo le proprie tradizioni. Ad esse vengono, quindi, commissionati tutti i tipi di lavori edili, suddivisi in dieci categorie di opere e retribuiti sulla base di un corrispettivo che non tiene conto della tipologia costruttiva né edilizia, ma solo delle dimensioni (calcolate in “tegole”, da 42x55cm a 41x61cm) e della destinazione di uso della costruzione.

    

        

                                                          Interventi Longobardi nel Cilento

 

                                

                                            Ponte Longobardo sul Fosso Tronaturo  di Aieta (cs)

Dall’analisi di tali generi di lavoro si ricava, quindi, che i Longobardi utilizzano (anche per le opere difensive): coperture voltate o piane in legno; murature realizzate con conci squadrati o di grandi dimensioni o con conci piccoli o irregolari; infine superfici intonacate solo in taluni, limitati casi.

Rimane, pertanto, sostanzialmente ascrivibile alla strategia difensiva e alla presenza di significativi resti murari nella parte immediatamente gettante dal colle, con vista su Capo Tirone, l’arroccamento di una fortificazione Longobarda sulla collina del Belvedere. Lo stesso riscontra  nei già precedenti insediamenti  rupestri Orientali,  un proprio presidio, soprattutto nella fase di maggiore conflittualità con i Bizantini e con i pericoli derivanti dal mare da parte  Saracena.

          

                                Tipologia di Castrum molto prossima a quella di Belvedere

Il Castrum Longobardo di Belvedere si incastra tra l’attuale cortina muraria di piccoli e medi conci  delle Tre Colonne, i cui prolungamenti, nello spazio che circoscrivono, lasciano presagire che il pianoro, più in alto, successivamente definito della “Chiisiella bassa”, ospitava una Rocca, quale Torre di difesa del Borgo circostante, in muratura portante e copertura, a volta o piana, in legno. Le curve di livello altimetrico che la “cortina semplice” ancora visibile, va a recuperare, seguendone l’andamento a partire  dalle Tre Colonne, circoscrivono la predetta Area. (Porta di Mare, in posizione più alta, per come vedremo sarà realizzata sulla potenziata Cortina Muraria nel periodo Svevo).

  I Ruderi Longobardi delle Tre Colonne e,  più in alto, Porta di Mare, costruita dagli Svevi.
 
                 
 
               
 
Fontana Longobarda di Sacco Vecchia (Parco Nazionale del Cilento)- le cui figure sono perfettamente identiche a quella rinvenuta a Belvedere in località (oggi) Muscarill (Tre Colonne) ritrovata in antico caseggiato e donata dal Sig. Bencardino Battista alla parrocchia, riportata in foto a pag. 159 del Bellumviderii di Don Cono Araugio. Oltre le Cortine murarie resta, questa, l’unica prova inconfutabile della presenza Longobarda sulla Rocca di Belvedere.
http://rm.univr.it/biblioteca/scaffale/Download/Autori_R/RM-Roma-Longobardi.pdf

 

                                                                                      mauro d’aprile
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