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DAL TIRONE ALLO SCALONE ED OLTRE – Capitolo III°

Mauro d’Aprile

BELVEDERE MARITTIMO

Storia di una Città

CAPITOLO  III°   I Saraceni

Il processo di trasformazione del territorio era avvenuto quando già forze esterne avevano investito l’Italia meridionale, favorite dalla divisione dei longobardi.

I Musulmani d’Africa, di Spagna e di Sicilia conquistata nell’827, ebbero un parossismo di vitalità che si manifestò anche nella ripresa dell’offensiva conquistatrice. Già tra l’840 e l’870 Bari e Taranto divennero emirati arabi; Amantea e Tropea sulle coste calabresi, Matera e diversi castelli nell’interno della Puglia e del Molise, divennero piazzeforti saracene, mentre nuove bande,  arrivavano dall’Africa e da Creta, alla ricerca di prede, taglie e riscatti. Malgrado questo, i potentati longobardi meridionali, trascinati dalla necessità sempre risorgente della guerra familiare, non rinunziavano ad assumere al proprio servizio le bande, accogliendole fin dentro le mura e soggiacendo a ricatti e tradimenti. Sorprende che una nobiltà di tradizione militare delegasse ai mercenari l’attività bellica; tecnicamente i saraceni non erano superiori ai longobardi: quando furono affrontati, vennero spesso sconfitti. Ma la nobiltà longobarda doveva essere troppo scarsa per sostenere da sola una logorante guerra perpetua e mobilitare le popolazioni urbane e rurali doveva essere divenuto difficile.

Salerno Longobarda-Saracena

E’ di questo periodo l’insediamento certo dei Saraceni sulla dorsale sud del Pollino con Saracena e Brahalla (Baraka’llah = Benedizione di Dio) l’odierna Altomonte, riportato sia nei registri vaticani che in quelli angioini. Un evento che lascia facilmente presagire il ruolo giocato in questa vicenda dal Passo dello Scalone,  per due attendibilissime ipotesi : o una possibile distruzione della Rocca di Belvedere eretta  dai Longobardi a difesa dagli stessi Saraceni e Bizantini, o una sua utilizzazione.

                                                              Saracena

Questo ruolo geopolitico dell’istmo del Passo dello Scalone nel contesto dello Appennino Calabro-Lucano, ripropone alla Città di Belvedere una nuova attenzione, il pericolo derivante dall’interno: non solo dunque dal mare, ma un nuovo punto di osservazione!

Una riconferma di quanto lo stesso, precedentemente,  aveva rappresentato nel lontano periodo pre-romano  (insediamenti Magno-Greci, sul Tirreno, dei fuggitivi, Sibariti dopo la distruzione della città ad opera, dei Crotonesi)  ed ancora, successivamente, con i Romani, la possibilità per le popolazioni interne  di scambi commerciali, con le ricche Castre di Presidio sul Litorale, quale quella di Fondo Cutura a Belvedere a ridosso del Porto del Tirone per il trasporto di Olio e di legname durante le guerre Puniche e non ultimo il trasporto del Sale di Lungro, già  attivo ai tempi di Plinio e ripreso alla grande con i Longobardi di Salerno ed Amalfi per via della scoperta delle carni insaccate.

L’alleanza disastrosa con i Saraceni è uno degli aspetti del cinismo del costume politico, ma è anche il segno del crescente inserimento nell’ambito del Mezzogiorno delle forze che agivano nel Mediterraneo. Insieme alle bande, circolavano, con frequenza sempre maggiore, i mercanti africani.

L’alleanza coi Saraceni assicurava l’immunità, sicurezza dei commerci e della navigazione nei mari occidentali, che erano dominati dai Musulmani. Si spiegano così anche le alleanze delle città costiere di tradizione romanica coi Saraceni e la loro riluttanza a separarsene. Per l’Italia meridionale continentale, l’Africa costituiva, con Bisanzio, il più importante partner commerciale e perciò non era considerata potenza nemica, nemmeno sotto il profilo religioso, giacché una sostanziale indifferenza velava le pur note divergenze dottrinali.

Ma l’espansione militare saracena, condotta più che da eserciti statali da bande di avventurieri e pirati, tendeva  a traboccare dalla Sicilia al continente, seguendo le stesse rotte commerciali. La catastrofe avvenne quando i principi in lotta tra loro cominciarono ad assoldare bande musulmane, con cui praticarono a danno dei connazionali una guerra di devastazione, con stragi, incendi, saccheggi e distruzione di insediamenti aperti ed isolati.

Presto le bande, che agivano sotto i propri capi, sfruttarono le opportunità della guerra per assicurarsi solidi insediamenti nei territori longobardi, soprattutto sulle coste, giungendo ad istituire piccoli stati autonomi, piazzeforti della loro guerriglia e centri di un autonomo commercio con l’Africa, la cui voce principale erano gli schiavi ottenuti con la guerra, ma soprattutto per l’alto tirreno calabrese la gelsicoltura ed il baco da seta .

Il nuovo vigore dei Longobardi  nel secolo X si espresse nell’aggressività contro il dominio Bizantino. Dopo una fase di lotte interne fra Capua e Benevento, recuperava vigore l’ideologia nazionale che canalizzava la perdurante vocazione militare della nobiltà capuana e salernitana.

Sebbene si riconoscesse l’origine romana e l’unicità dell’impero bizantino, i Greci venivano ancora dipinti nefandi, effeminati e crudeli; i principi cominciarono a disfarsi dei titoli imperiali. Tra gli anni  “20 e i 50” del X secolo,  mentre le popolazioni longobarde delle città pugliesi tumultuavano contro il governo greco, la Puglia settentrionale, adito al santuario di San Michele sul Gargano, divenne la posta di una guerra di frontiera tra l’area longobarda e quella bizantina, combattuta con risultati alterni, ma con una sostanziale tenuta della capacità offensiva longobarda, che conseguì diversi successi. Sebbene l’estendersi della dominazione Longobarda di Benevento prima, e di Salerno poi, avesse prolungato un’interruzione dell’influsso bizantino nella nostra area, poco prima del 1042 veniva istituito un altro tema detto di Lucania, che includeva anche la nostra Calabria Settentrionale Tirrenica. Furono questi gli anni di un notevole sviluppo economico!

Si produsse allora, sostenuto da una importante crescita demografica, quello che è il fenomeno caratteristico del X secolo, tipico anche per la nostra area di attenzione: la riconquista agricola di vasti territori divenuti incolti e silvestri, l’intensificazione delle aree già coltivate, la diffusione del popolamento con la creazione di nuovi centri abitati e l’incremento dei vecchi.

Dalla metà del secolo gli abati, tornati nelle antiche sedi, realizzarono con vigore la colonizzazione, attirando, anche da lontano, lavoratori sui possessi recuperati con patti agrari individuali e collettivi, assai vantaggiosi. Anche ad opera dei signori laici, l’abitato rurale, gravemente compromesso dalle scorrerie saracene, si riorganizzò nei castelli, che furono meno strutture militari che villaggi agricoli muniti di difesa.

 

Da “ San Ciriaco da Buonvicino” di Don Erminio Tocci, pg.30:

“ Così si ridussero a colture, zone selvose e sterpose; se ne dissodarono altre, si fecero piantagioni; si costruirono frantoi e mulini, si riattivarono strade; si bonificarono zone allagate dalle acque di torrenti indisciplinati e si costruirono villaggi agricoli”.

“ In realtà nella nostra Calabria, l’incontro delle grandi quattro civiltà del tempo: Bizantina, Romano-Germanica, Islamica e Cristiano- Latina, diedero alla nostra gente, un buon livello culturale, un discreto benessere economico, ma soprattutto, un senso di fiducia nell’uomo; di tolleranza e rispetto reciproco, nelle diversità; tale quale non si ebbe mai più se non nelle più avanzate Democrazie dei nostri giorni”.

Arboricoltura

Dalla terra derivava una ricchezza non trascurabile, soprattutto grazie alla piccola proprietà contadina, caratterizzata dalla coltivazione anche delle zone impervie, dalla diversificazione delle colture e dallo sviluppo dell’arboricoltura.

Allora si segnala una importante fonte di ricchezza: la gelsicoltura e l’allevamento del baco da seta: L’inventario dei beni (brebion) della metropolia di Reggio Calabria, databile alla metà dell’XI secolo, ben illustra gli sviluppi  raggiunti dalla gelsicoltura, bachicoltura e sericoltura e lascia intravedere che la seta, prodotta in Calabria, fosse principalmente destinata alla Sicilia musulmana, per esservi lavorata ed esportata. Il che comportava introiti significativi a beneficio degli abitanti e delle casse dei dominatori, tramite il meccanismo della riscossione fiscale.(meccanismo questo, in cui si riconoscevano a pieno titolo gli Arabi).

Anche le attività commerciali si espandevano ed investivano più intimamente il mondo longobardo:

Salerno intrecciava con Amalfi una sorta di simbiosi economica e politica, manifestata in una integrazione fra commercio amalfitano e mercato salernitano, cui corrispondeva sul piano politico una intensa circolazione di uomini nelle località marine di attracco, antesignano delle vie del commercio nei secoli successivi ed anche dell’inizio del nostro XIX°.

                                                                             mauro d’aprile

 

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