Mauro D’Aprile
BELVEDERE MARITTIMO
Storia di una Città
CAPITOLO IV° I Normanni
Nel 999 fecero la loro comparsa a Salerno i Normanni: una schiera, di ritorno dalla Terra Santa, partecipò alla difesa della città contro una delle ricorrenti spedizioni saracene e fu forse trattenuta o sollecitata a far giungere altri cavalieri dalla Normandia.
I mercenari normanni divennero una presenza costante a Salerno, al servizio di una politica che diveniva sempre più ambiziosa, sostenuta dalla straordinaria ricchezza.
Fu così possibile ai principi di Salerno ridurre Capua sotto la propria tutela, proteggendo i Normanni che si diffondevano in Campania e che costituivano lo stabile insediamento di Aversa. Guaimario IV (1027 – 1052) ottenne formalmente dall’Imperatore tedesco il principato di Capua, e quando i Normanni iniziarono ad occupare le città pugliesi togliendole ai Greci, si vide riconosciuta da loro un’altra signoria che espresse nel titolo di “duca di Puglia e di Calabria”. Intanto riusciva a sottomettere anche le città-stato della costa campana, Amalfi, Sorrento, Gaeta.
Sembrava realizzarsi nuovamente l’unificazione dell’Italia meridionale sotto il dominio longobardo. Ma i Normanni erano alleati ambiziosi e sfuggenti.
Pronti come i saraceni, a cambiar fronte e mettersi in proprio, mantenevano in più una solidarietà di stirpe che emergeva nelle situazioni pericolose ed impediva che potessero essere sopraffatti gruppo a gruppo. Provenendo da una società in cui pratiche e valori marziali erano molto più vivaci che fra i Longobardi, essi avevano una reale superiorità militare, e presto, guadagnarono anche una copertura ideologica per l’appoggio che il papato diede alle loro lotte contro i Bizantini, da cui si riprometteva l’espansione della chiesa latina nel Mezzogiorno. Superata una gravissima crisi all’inizio degli anni 50, nuovi capi, da poco giunti dalla Normandia, compirono il salto di qualità rivolgendosi contro i poteri di cui, fino ad allora, erano stati alleati.
Nel 1058, alla morte del principe di Capua, il conte di Aversa Riccardo Quarrel assalì la città e se ne fece principe, ricevendo la consacrazione dalla Chiesa romana; l’anno precedente un altro condottiero prestigioso, Roberto il Guiscardo, aveva ottenuto dal papa il titolo di Duca di Puglia e di Calabria, incaricandosi di por fine alla sovranità bizantina ed alle aspirazioni dei principi longobardi.
Davanti all’alleanza tra la forza normanna e l’autorità papale, cedevano le strutture più deboli del mondo longobardo; nel 1050, senza attendere di essere conquistati, i nobili beneventani avevano cacciato il loro principe e si erano sottoposti alla signoria papale.
I riferimenti morali venivano meno: indebolita dal patriottismo cittadino e locale, la solidarietà di stirpe non suscitava più mobilitazioni unitarie.
Montecassino, vertice dell’organizzazione intellettuale longobarda, vessata e taglieggiata dagli ultimi principi di Capua, passava alla causa dei Normanni e diffondeva l’idea che i loro successi erano la conseguenza, voluta da Dio, della nequizia che si era radicata tra i Longobardi e corrompeva l’animo dei loro principi. Solo a Salerno il fosco principe Gisulfo II resistette per altri vent’anni all’incessante logoramento imposto al principato da Roberto il Guiscardo e da suo fratello Guglielmo.
Ma infine, dopo un assedio di un anno, anch’egli dovette cedere. ( da parecchi anni si trovava in Italia Roberto d’Altavilla, sceso nella penisola con 5 cavalli e trenta fanti.
Avuto in dono, dal fratello Drogone, la rocca di S.Marco preso Bisignano, visse per alcuni anni di brigantaggio, assalendo città e campagne; per la sua astuzia fu soprannominato il “Guiscardo” (l’astuto).
Nel 1057 alla morte d’Umfredo, Roberto il Guiscardo è nominato tutore del figlio minorenne, e acclamato dai normanni duca di Puglia e di Calabria.
La Torre di Roberto il Guiscardo Cattedrale (Cripta Normanna) (1080)
S.Marco S.Marco
Agitata e interrotta, la vicenda politica dei Longobardi meridionali non fu più barbarica che nel resto d’Europa. La ricerca dell’equilibrio avveniva in una area sottoposta a pressioni contrastanti, dov’era problematica la stessa salvaguardia dell’identità; nonostante la violenza, la lotta per il potere non cancellò certe complesse intuizioni dell’autorità, né impedì che si costituisse una struttura economica fiorente; la difesa contro l’esterno lasciò filtrare influenze preziose che fecero lievitare la cultura nazionale. Ma l’autonomia mediterranea era un relitto di epoche precedenti, che cadde davanti alla nuova aggressività dell’Europa dell’XI° secolo. Furono così i Normanni successivamente a caratterizzare il nostro territorio con opere molto significative ancora oggi molto intuibili su gran parte di esso. I Normanni si muovevano per gruppi parentali che, nell’ambito del movimento più generale di conquista, prendevano ciascuno possesso di un territorio relativamente ristretto. In questi ambiti le fortificazioni erano, oltre che mezzi di difesa, anche strumenti per il controllo delle popolazioni locali, alle quali erano imposti obblighi concreti, secondo il costume feudale. La conquista Normanna portò anche a un cambiamento nella struttura materiale delle fortificazioni: da una maggiore attenzione per le cinte urbane, si passò alla costruzione di Castelli, spesso collocati in un’area periferica (però quasi mai ai margini) dell’abitato urbano. Si trattava di un mutamento dettato dalla necessità di avere un punto forte, che consentisse il controllo delle comunità cittadine, spesso recalcitranti al nuovo dominio.
In questi ambiti le fortificazioni erano, oltre che mezzi di difesa, anche strumenti per il controllo delle popolazioni locali, alle quali erano imposti obblighi concreti, secondo il costume feudale. Le strutture fortificate si diffusero uniformemente; la funzione di difesa si coniugò con quella del controllo.
Dal Belloviderii cap. 4.2 e 4.3:
“Il bellum videri vero e proprio che socialmente e politicamente si articolava attorno alla torre fortificata e si ingrandiva sempre più per l’afflusso di abitanti dai centri limitrofi.”
“ La presenza politica dei Normanni determinò una fase sociale nuova, non prevista e che segnò fino all’800 la vita politica e sociale dei centri abitati. Lo sviluppo del territorio inizialmente ne trasse beneficio: “ Ma si verificò in una condizione assai diversa da quello che la popolazione sperava perché la presenza normanna fu caratterizzata da una importante novità: l’introduzione del feudalesimo”.
“ Il castello che era nato come simbolo di difesa, di sicurezza e garanzia di libertà, diventa mezzo e simbolo di sottomissione al feudatario, e veniva donato o venduto agli uomini fedeli alla Corona”.
“Nella fase normanna dobbiamo pensare il Belvedere come un borgo stretto attorno alla torre fortificata per difesa.”
Erano poste le premesse indispensabili alla creazione di un sistema castellare, che poté compiersi soltanto con la nascita di un organismo statale unitario, per opera di Ruggero II°. La conquista e l’insediamento normanno nel Mezzogiorno diffondono una nuova tipologia di castello fortificato, che, non diversamente dalle contemporanee realizzazioni in area francese o inglese e secondo una tecnica importata dalla Normandia, sfrutta particolari caratteristiche topografiche del sito, al quale si chiede di soddisfare particolari esigenze di controllo e dominio.
Da questa scelta deriva la posizione decentrata e talvolta esterna rispetto alla cinta muraria ed all’abitato, del fortilizio urbano, preferibilmente ubicato nel punto più alto ed impervio e dinanzi al quale vengono lasciati ampi spazi vuoti per privare l’eventuale assalitore di qualsiasi forma di riparo ed esporlo al tiro diretto dei difensori.
Dove possibile, invece, si sfruttano rilievi naturali, meglio se rocciosi, per realizzare l’elemento più tipico della prassi edificatoria dell’epoca, la Motta, al posto di una collina artificiale, appositamente creata.
Al centro dell’area cintata, il cui ingresso si apre verso il sottostante abitato, si erige il mastio, un palazzo a pianta rettangolare, costruito con pietra solitamente locale su due livelli: un piano alla quota di campagna utilizzato per ospitare i locali di servizio (ossia una sala centrale ed altre minori) ed un primo piano, accessibile dal livello inferiore o direttamente dal cortile, contenente anch’esso un ambiente principale ed altri secondari, ma utilizzato direttamente dal signore. Il complesso ospita anche una cappella di modeste dimensioni, ad una o tre navate.
Contrariamente alle cattedrali, le fortificazioni normanne non sono state risparmiate dalla distruzione riservata alle costruzioni profane, adibite ad una qualche rilevante funzione, specie se difensiva, per cui spesso, ove ancora non presenti, risultano inglobate all’interno di edifici di epoca successiva e quindi risultano scarsamente riconoscibili.
Nel considerare questa primissima e determinante fase di incastellamento di Belvedere bisogna, necessariamente, tenere in debita considerazione l’acclività del poggio e la sua natura, prevalentemente rocciosa: dolcemente degradante, ma con una serie di salti in direzione est-ovest (monte-mare). Verso lato Nord, vista Diamante, un ripido proibitivo. Verso lato Sud a ridosso del fiume Soleo, irto, accessibile in parte, (ma non all’epoca). Il punto di debolezza è dunque rappresentato dal fronte Ovest-Sud.
Questa conformazione, ma soprattutto la presenza della roccia, lascia più correttamente supporre una utilizzazione del poggio naturale, dell’odierno Centro Storico, secondo il classico schema urbano di dimora e centro amministrativo del signore e fortezza, dalla quale, imporre alla città il pagamento del corrispettivo della sicurezza dei piccoli appezzamenti di terreno coltivato o della pace dei villaggi e nelle campagne.
Assolutamente di scarsa consistenza é l’ipotesi di un castellum sorto o riparato (precedente Longobardo-Bizantino) in funzione di un suo riutilizzo come posto di segnalazione di eventuali attacchi nemici dal mare. Mentre valida potrebbe essere l’ipotesi di un castellum posseduto dai milites, detenuto a titolo feudale, atto, come molti altri di questo tipo, per controllare le strade principali ed i percorsi secondari lungo strade e fiumi. Scopo che trova conferma, nel Belvedere, per la possibilità di poter guadagnare una posizione più alta del poggio, per controllare a vista lo snodo del Soleo all’altezza dell’Oracchio e l’Olivella e conseguentemente il nuovo pericolo derivante dalla dorsale sul Sangineto dal Passo dello Scalone.
In considerazione della, più volte, sottolineata posizione strategica di Belvedere, trova inevitabilmente riscontro la volontà Normanna di circoscrivere e nello stesso tempo soggiogare le zone più importanti di sosta o di transito del territorio governato, nell’unico mezzo di attuazione che era il ricorso alla torre ed ai sistemi di torri. Solitamente quadrate o rettangolari. Accessibili dal primo piano, dotate di robusto basamento e spesso scarpate, costituiscono, infatti, il prototipo della struttura difensiva normanna.
Realizzate in punti strategici e sempre più spesso collegate a cinte murarie fortificate, grazie alle quali formano un ampio recinto al cui interno è collocata la residenza signorile, presentano, tuttavia una disposizione alquanto incomprensibile e di difficile individuazione nei punti di contatto con il circuito esterno e, per questo, sono soggette a sempre maggiori trasformazioni rispetto ad altre costruzioni munite.
Esempio tipico di Motta Normanna con Torre (Mastio) su terrapieno artificiale. Doppio Salto con cortina muraria di cinta su fossati a protezione degli slarghi strategici dove veniva attratto il nemico, facile bersaglio dall’alto. I Fossati vengono superati da passerelle in legno e conducono alla gradinata di accesso al Mastio.
Nel caso di Belvedere il terrapieno non si è reso necessario per la connotazione naturale del terreno in roccia calcarea, degradante tra le zone dell’altopiano di Piazza Castello- Porta di Mare. La collina del Belvedere offre, tutto insieme, alcuni vantaggi per concepire un’opera difensiva ai fini del controllo strategico del territorio amministrato, in linea con le soluzioni costruttive, diventate canoniche, come l’uso del costruire la torre principale direttamente sulla roccia, lo spessore murario compreso fra 1,40 e 1,60 metri, l’utilizzo di pietra da taglio solo nei cantonali e nelle aperture, la porta di acceso al Mastio ricavata al piano nobile, lo scavo di cisterne per la raccolta di acqua piovana sotto i locali di ingresso.
Torre Pallotta Altomonte prossima a quella di Belvedere assorbita nelle case di civile abitazione
Secondo lo storico Emilio Barillaro il Mastio di Belvedere è stato eretto da Ruggero il Normanno:
Ruggero I: conte di Calabria dal 1062, gran conte di Calabria e di Sicilia dal 1071 come vassallo del fratello Roberto il Guiscardo duca di Puglia, unico regnante normanno dell’Italia meridionale dal 1085, morto a Mileto (RC) il 22 giugno 1101. Ruggero II detto il Normanno: succedette al fratello nel 1101, incoronato Re a Palermo nel 1130, morto nel 1154.
Per i casi esaminati 1) Motta 2) Castellum resterebbe in pregiudicato la posizione del Mastio da identificarsi nella attuale proiezione sottostante Palazzo Arena-Rogati-Vivona Rachele, posto immediatamente al di sotto del postumo Castello, Angioino prima, Aragonese poi, con ingresso e vista su S.Nicola Magno (oggi in parte Asilo del Sacro Cuore) e S.Giacomo (allora ridotto), già presenti quali presidi di di culto bizantini. Le attuali gradinate fra Palazzo Nastri e la Chiesa di San Giacomo ricalcano il tracciato di quelle interessanti il collegamento diretto dell’epoca fra il Mastio e il primo salto.
Nel Belvedere il primo salto (bordato da cortina muraria su fossato, come nell’immagine del tipico) segue l’andamento del terreno e corrisponde al taglio di “faglia geologica” che lungo il Corso della Piazza attraversa il Centro Storico da Nord- (casa di Pilerio la Rotonda), a Sud- (Cappella S.Francesco in S.Maria del Popolo). Si tratta semplicemente di congiungere, sulla aerofotogrammetria del Centro Storico, il basamento dell’attuale Cappella di S.Francesco, in Santa Maria del Popolo, con Palazzo Ferraro.
La retta che unisce i due capisaldi storici del Castello Angioino -Aragonese e i ruderi di Porta di Mare (vedi foto allegata) si viene così a trovare in asse, quasi simmetrico, ai salti ed alle intuibili “vallate”, in parte ancora oggi visibili (Slargo Cascini-Eredi Leo Servidio Franz- Forno). Uno spazio, questo, in cui acquistano significato i tracciati quasi rettilinei delle due odierne strade principali, nella cui mezzeria si delineava l’unico tracciato funzionale del sistema Normanno che conduceva alla gradinata del Mastio. Il Secondo Salto ricade in prossimità dell’attuale Slargo fra i Palazzi Rubino- Martorelli-Nocito-Spina.
Alla metà del X secolo, l’attuale superficie (detta del “Praio”) su cui é posizionato il Castello Aragonese, era un ammasso compatto di roccia calcarea, ad andamento, quasi pianeggiante a quota dell’attuale imposta castellaria, con conseguente caduta a picco verso (Est) Montea, divenendo la naturale difesa della stessa Motta, così come in seguito anche per il Castello. Resta superfluo, oltremodo precisare, che il sistema descritto garantiva i coni visuali di osservazione, presentandosi all’epoca con roccia denudata da fabbricati e vegetazione, se non quella ai margini del pendio.
Rettangolare, accessibile al piano terra, gettante sul piede senza scarpata (la roccia assicurava tenuta), il Mastio, inoltre, era interessato da un vicino-prossimo collegamento dalla attuale scarpata di Casa Leo Giuseppe, al tetto di S.Nicola Magno, posta frontalmente, con ponte a tutto sesto, con evidente funzione di trasporto acqua piovana, dal tetto della Chiesa, alla cisterna di raccolta del Mastio. L’arco apparteneva alla Chiesa e non poteva avere altra funzione. Questo sistema, tipico Normanno, è rimasto visibile, fra le due strutture segnalate fino negli anni 50 del XIX° secolo, successivamente demolito, insieme all’atrio d’ingresso della Chiesa.
Chi scrive, ed i suoi contemporanei ricordano perfettamente la Chiesa di San Nicola Magno, perché cresciuti nell’Azione Cattolica della stessa.
Il Mastio con primo piano nobile, nelle epoche successive ancora ampliato, restava circoscritto nell’attuale proiezione di facciata, con spessori murari corrispondenti agli standard, visibili nella ex Bottega Castellano, e pari profondità, ancora demarcata dalla differente tipologia muraria, visibile nei Vicoli I° e II° di Castel Ruggero. La struttura appartenuta alla nobile famiglia Palermo, andò incontro a crollo parziale in seguito al sisma del 1783.
In Verde L’Area interessata dal Sistema Normanno con i salti di quota con cortina muraria a ridosso di solchi così come evidenziato sul il tipico in figura precedente.



2) AEROFOTOGRAMMETRIA:
——— Linea della Faglia Geologica ——— Area insediamenti Rupestri Bizantini Zona S. Lucia e Castrum Longobardo ——— Area interessata dal Sistema Normanno, Motta con in evidenza:Zona Alta Munita, con 1 la Torre (Mastio) ; 2 San Nicola Magno e 3 San Giacomo, reimpostati dagli stessi Normanni, già presenti quali luoghi di rito Bizantino.
Il Primo Salto, come gli altri, sugli slarghi strategici (attualmente slargo Cascini, su ambo i lati, casa eredi Leo Servidio Franz e Forno), era delimitato da cortina su fossato, con breccia solo sulla continuazione della gradinata. Il Secondo comprendeva tutta la zona Chiisiella fino a Porta di Mare. Sul Pianoro del Primo Salto furono reimpostate le chiese di culto Greco, S. Nicola Magno a ridosso della Motta ( oggi Asilo Infantile) e San Giacomo più piccola dell’attuale Chiesa e con diverso orientamento. Fuori la Cortina Muraria di cinta restava l’antico Cenobio della SS Annunziata, poi Convento Agostiniano, attuale S. Maria delle Grazie, prospiciente la unica zona agraria del centro storico, felicemente predisposta con “orti” all’arboricoltura, vigneti, uliveti e gelsi, al di sopra della Badia di S. Antonio Abate.
Nella vista aerofotografica, lateralmente verso il basso a destra, si evidenzia il raccordo curvilineo della cortina Normanna in raccordo con Porta di Mare (B) ed in proseguimento di chiusura, conservato, anche nell’impostazione sulla stessa, dagli edifici postumi. Nella zona d’ombra il taglio del secondo Salto, il cui contesto era già Castrum Longobardo. La mezzeria dell’Area fra Mastio e Porta di Mare costituiva il collegamento con le gradinate centrali rispetto agli slarghi, secondo il “tipico” di Motta illustrato.
Il rilievo Catastale degli edifici postumi costruiti sulla cortina di cinta del Sistema Normanno evidenzia che gli stessi seguono l’andamento di raccordo curvilineo tracciato per la Motta. Anche rispetto alle quote altimetriche lo stesso circoscrive l’unica vasta area leggermente degradante tra la quota di imposta del Castello e Porta di Mare. Per questo motivo è da ritenere che col termine popolare “La vallata” veniva ad essere individuata questa vasta area del Contesto e non come erroneamente si pensa un”attuale angusta piazzetta. L’Area della Motta (o Vallata) è stata successivamente chiamata nella parte bassa con il nome di “Chiisiella” per via della costruzione di una chiesetta patrizia oggi diroccata e nella parte più in alto del “Forno” per l’insediamento di un antico panificio.