Le imprese artigiane costituiscono da sempre un importante fattore di crescita economica in tutta l’Europa, ed in particolare in Italia. L’evoluzione storica dell’imprenditoria artigiana è, infatti, interrelata a quella dello sviluppo dell’industria italiana, con radici comuni che sono rappresentate dalle capacità del singolo, dalle intuizioni, dalle relazioni intense tra attori locali e dalla coesione sociale.
Il variegato mondo di imprenditori artigiani, i quali sono già “sopravvissuti” agli anni bui delle “crisi petrolifere” degli anni Settanta, alla sfida della globalizzazione degli anni Novanta e, con grandi sacrifici, sono in procinto di superare anche l’odierna recessione, grazie alla loro capacità di essere “piccoli e flessibili”, alle loro produzioni innovative o di nicchia e a quella tradizione storico-economica e socio-culturale tipicamente italiana che affonda le sue radici addirittura nell’Età dei Comuni e nel Rinascimento.
Pur tuttavia, se osservato nei suoi aspetti organizzativi e nelle sue dinamiche imprenditoriali più complesse, il mondo artigiano ci appare essere un settore dell’economia italiana “ a modernità incompiuta”, nel senso che lo stesso non ha mostrato un percorso evolutivo chiaro verso una dimensione imprenditoriale che oggi risulta “vincente” sul mercato. L’impresa moderna ha, infatti, la capacità di controllare la concorrenza interna ed estera, di operare su scala globale, di sfruttare le potenzialità dell’ICT, di disporre di tecniche produttive altamente innovative, etc. Inoltre, esiste in Italia un gruppo (ancora ristretto) di imprese artigiane che mostrano di aver intrapreso un percorso di trasformazione verso forme organizzative più dinamiche e strutturate, che trovano attuazione nell’attività su mercati internazionali (si ricorda che circa il 18% delle esportazioni italiane proviene dal mondo dell’artigianato), in collaborazioni con sub-fornitori di primo e secondo livello, in investimenti orientati verso produzioni su fasce qualitative più elevate o ancora in attività di ricerca di nuovi mercati.
Occorre, quindi, distinguere in questo complesso mondo quei sub-settori, quelle aree produttive, quelle scelte strategiche che caratterizzano questo nuovo nucleo più competitivo e performante di aziende artigiane. È evidente, poi, che per agevolare l’irrobustimento di questa fascia di imprese, occorrerà porre in essere adeguate policy di supporto. Tuttavia ancora oggi non si riescono ad individuare strategie di sviluppo comuni a favore dell’artigianato in seno all’Unione Europea, anche perché solo negli ultimi vent’anni l’importanza dell’artigianato è stata riconosciuta e iscritta nella “Agenda Politica” delle Istituzioni comunitarie.
Infatti, solo in seguito di un lungo processo, alimentato da un vivace dibattito culturale negli anni Settanta e Ottanta, l’universo imprenditoriale artigiano ha assunto un ruolo riconosciuto nel tessuto produttivo locale ed è venuta meno l’idea della transitorietà nei processi evolutivi aziendali rappresentata dalle piccole imprese. La promozione di policy fino ad allora rivolte alle imprese tout court o, nel migliore dei casi, alle PMI, cambia indirizzo per merito degli organismi comunitari – Parlamento Europeo, Commissione Europea, ma soprattutto Comitato Economico e Sociale1 – che focalizzano la loro attenzione propositiva allo specifico segmento delle piccole imprese, le quali necessitano di 1/3 Artigianato semplificazione amministrativa e nei rapporti con la PA, di facilitazioni nell’accesso al credito e alle informazioni indispensabili per operare e, non ultimo, di riduzione dei costi della burocrazia.
Tappe fondamentali del processo di tutela e sostegno delle piccole imprese e imprese artigiane sono: la Prima Conferenza dell’Artigianato di Avignone nel 1990, la Seconda Conferenza dell’Artigianato di Berlino nel 1994, la Terza Conferenza di Milano nel 1997 e l’approvazione a Feira nel 2000 della Carta europea per le Piccole Imprese e la Quarta Conferenza di Stoccarda nel 2007. È da sottolineare, infine, che con l’allargamento ad Est sono entrate nel contesto politico ed economico dell’Unione Europea nuove realtà socio-produttive. Sarebbe opportuno, quindi, che policy makers, attori dello sviluppo e soggetti ed enti pubblici e privati sollecitassero la promozione di una Nuova Conferenza sull’Artigianato e la Piccola impresa (la Quinta in Italia – Proposta già allo studio della Direzione Generale PMI e Enti Cooperativi) per valutare l’attuale e la futura portata economica e sociale di questa importante realtà imprenditoriale.
Il numero delle imprese artigiane Le prime stime elaborate dal Ministero dello Sviluppo Economico – DG PMI e Enti Cooperativi – Div. VIII – individuano in circa 5 milioni le imprese artigiane in Europa, pari al 25% dell’universo imprenditoriale. L’Italia si caratterizza per il ruolo di primo piano dell’artigianato, sia in termini di esportazioni, sia in termini di incidenza nella creazione della ricchezza nazionale.
L’artigianato rappresenta una realtà estremamente importante e dinamica nel nostro Paese: si contano, infatti, oltre 1.450.000 imprese artigiane attive (ovvero circa il 35% del totale delle imprese italiane extra agricole), in particolare concentrate in Lombardia, Emilia Romagna e Veneto, regioni queste dove è presente comunque un fitto tessuto imprenditoriale. Un primo indicatore è rappresentato dalla vocazione imprenditoriale artigiana, espressa dal rapporto fra la numerosità delle imprese artigiane e la popolazione residente. In Italia tale incidenza si attesta su un valore medio di 24,7 imprese ogni 1.000 abitanti, ma risulta particolarmente elevata in alcune regioni (Emilia Romagna, Marche, Valle d’Aosta, Toscana, Veneto e Piemonte), tutte al di sopra della soglia delle 30 imprese artigiane per mille abitanti. È da notare che si tratta di realtà territoriali del Centro-Nord del Paese. Per contro, le regioni caratterizzate da una densità di imprese artigiane rispetto alla popolazione locale inferiore alla media nazionale, si concentrano quasi tutte nel Mezzogiorno: Molise, Basilicata, Puglia, Calabria, Sicilia e Campania. Fa eccezione soltanto il Lazio, che si distingue tradizionalmente per una scarsa diffusione dell’imprenditorialità artigiana soprattutto in ragione del peso della vocazione economica della Capitale.
L’occupazione L’importanza delle imprese artigiane quali fonti di impiego risulta evidente anche dall’analisi del peso degli occupati dell’artigianato sul totale degli occupati, pari al 15,4% se si prende in esame l’occupazione extra-agricola complessiva. Coerentemente con la diversa numerosità d’impresa, l’area del Paese in cui si registra la quota più consistente di occupati nel comparto artigiano è il Nord: il 30,6% degli occupati totali del settore è impiegato, infatti, nel Nord Ovest e un altro 26,2% nel Nord Est, a fronte del 23,5% del Mezzogiorno e del 19,7% del Centro. Le regioni caratterizzate dal maggior numero di occupati risultano la Lombardia, il Veneto, l’Emilia Romagna, la Toscana e il Piemonte, tutte con oltre 300 mila lavoratori nell’ambito dell’artigianato. L’artigianato rappresenta in Italia non soltanto una realtà diffusa in termini di numerosità d’impresa, ma anche una notevole fonte di ricchezza per il Paese nel suo complesso: il contributo del settore artigiano in termini di valore aggiunto sfiora i 150 miliardi di euro, ossia il 12,5% del valore aggiunto nazionale al netto dell’agricoltura; inoltre, circa 58,6 miliardi sono imputabili alle imprese artigiane dell’industria in senso stretto, 35,4 a quelle attive nell’ambito delle costruzioni e 53,9 alle aziende artigiane dei servizi. Il maggior contributo per la creazione di ricchezza derivante dal settore artigiano si riscontra nelle regioni del Nord Ovest (in totale 46,9 miliardi di euro, pari al 31,7% del valore aggiunto artigiano complessivo del Paese ) e del Nord Est (41,6 miliardi, ovvero il 28,1% del totale), mentre l’apporto delle regioni del Centro e del Sud risulta più ridotto: rispettivamente 28 e 31,4 miliardi di euro (ovvero il 18,9% e il 21,2% del totale). Il Mezzogiorno si distingue, invece, per una più consistente creazione di ricchezza per quanto concerne l’artigianato dei servizi: oltre 14,3 miliardi di euro, pari al 26,6% del totale, a fronte del 29,9% del Nord Ovest, del 24% del Nord Est e del 19,5% del Centro Italia. A livello regionale, si distinguono per un’incidenza particolarmente elevata dell’artigianato sul valore aggiunto complessivo regionale le Marche (18,8%), l’Umbria (16,7%) e il Veneto (16,3%), ma si caratterizzano per un ruolo di primo piano dell’artigianato anche l’Emilia Romagna (15,9%), il Trentino Alto Adige (15,4%) e la Toscana (14,9%). Per contro, le regioni “meno artigiane” risultano il Lazio e la Campania, in cui la percentuale del valore aggiunto artigiano sul totale si attesta rispettivamente intorno al 6% e all’8%.
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