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IL VIAGGIO DI DE GASPERI

A bordo di un quadrimotore sballottato dal maltempo, e con il «pretesto» di una conferenza organizzata da «Time», 70 anni fa Alcide De Gasperi volò negli Usa. E — spinto anche dal vento della Guerra Fredda, che iniziava a soffiare anche sul suo governo — trovò le sponde necessarie per imprimere una svolta decisiva alla politica italiana, traghettandola verso la stagione del centrismo.

Quella notte del 3 gennaio 1947, 70 anni fa, il vento soffiava fortissimo sull’Atlantico: tanto da costringere il quadrimotore Skymaster che portava la delegazione italiana da Roma a Washington ad atterrare due volte alle Azzorre prima di riprendere il volo. Sull’argenteo aeroplano c’era il presidente del Consiglio Alcide De Gasperi con un qualificato seguito, tra cui la figlia Maria Romana, il direttore della Banca d’Italia, Domenico Menichella, il capo dell’ufficio cambi, Guido Carli, il ministro del commercio con l’estero Pietro Campilli. Mentre l’aereo traballava, ha raccontato Maria Romana nella gustosa biografia dedicata al padre (Mondadori, 1964, ora disponibile negli Oscar), De Gasperi riuscì a sdrammatizzare la situazione dicendo alla figlia che la sua grande preoccupazione riguardava Menichella: come sarebbe riuscito il panciuto direttore della Banca d’Italia a indossare il paracadute, visto che nelle prove di sicurezza prima del volo non aveva avuto successo?

Quell’invito non firmato dal presidente

Dopo una ulteriore sosta alle Bermude, finalmente la mattina del 5 gennaio l’aereo atterrò a Washington. Era la prima volta che De Gasperi faceva un viaggio fuori dall’Italia da presidente del Consiglio non come nemico ma come «quasi alleato». Tuttavia l’invito ad andare negli Stati Uniti non era arrivato dal governo americano, ma dal direttore della rivista «Time», Henry Luce, che aveva organizzato un convegno a Cleveland dal titolo «Cosa si aspetta il mondo dagli Stati Uniti». Il leader italiano aveva colto l’importanza dell’occasione, ma aveva subito messo in moto tutti i canali diplomatici per unire alla conferenza di Cleveland incontri politici ed economici ai massimi livelli. L’ambasciatore Alberto Tarchiani, l’azionista esperto di cose americane, era stato attivissimo ed era riuscito ad ottenere incontri con il presidente Harry Truman e il segretario di Stato James Francis Byrnes, che per dissensi con il suo presidente sulla politica verso l’Unione sovietica si dimise dall’incarico proprio durante la visita di De Gasperi, causando non pochi imbarazzi. Ne parlò sul «Corriere» del 9 gennaio il giovane corrispondente Ugo Stille, spiegando che l’avvicendamento nella seconda poltrona più importante degli Stati Uniti non avrebbe avuto ripercussioni negative nei rapporti con l’Italia.

Gli obiettivi di rafforzamento interno

L’obiettivo di legittimazione internazionale del viaggio di De Gasperi era tuttavia legato a una serie di accordi economici, prestiti, rimborsi, invio di navi cariche di grano e carbone, che avrebbero rafforzato la leadership di De Gasperi e della Democrazia cristiana. La convivenza con i comunisti al governo diventava sempre più difficile e anche da Palmiro Togliatti arrivavano segnali poco concilianti, come quello lanciato in un’intervista all’«Unità», in cui il leader comunista aveva fato capire di essere disposto allo scambio con Tito tra Trieste (italiana) e Gorizia (jugoslava) (Nella foto sotto, una manifestazione per sensibilizzare l’opinione pubblica e il governo sulla definizione della questione di Trieste, Ansa). Il vento della Guerra Fredda tra est e ovest cominciava a farsi sentire anche a Roma. Il copione del viaggio era scritto sia da parte italiana sia da parte statunitense. Il risultato fu un prestito di 100 milioni di dollari dalla Export-Import Bank, un assegno di cinquanta milioni di dollari come rimborso per la collaborazione offerta dall’Italia durante la fase finale della guerra, oltre alla garanzia di una serie di aiuti materiali (l’acquisto di cinquanta navi da trasporto per rimettere in moto la macchina commerciale italiana e l’invio urgente di una serie di bastimenti carichi di grano e combustibile per aiutare la ripresa produttiva e risolvere la crisi alimentare italiana).

Un’accoglienza «fredda»

In un’intervista a Silvio Negro, uscita sul «Nuovo Corriere della sera» del 3 gennaio, De Gasperi era stato chiaro: «La situazione alimentare è migliorata, nel senso che siamo usciti dall’angosciosa situazione di non sapere come fronteggiarla oltre le ventiquattro ore, ma non siamo ancora fuori del pericolo». Accanto ai temi economici e a quelli della stretta sussistenza, la mente del leader trentino era occupata da questione più squisitamente politiche. Innanzitutto come risolvere la questione del trattato di pace non ancora firmato? L’Italia per gli Stati Uniti era ancora un Paese ex nemico e i diplomatici Usa non volevano certo irritare i Paesi che ancora ce l’avevano a morte con Roma, in primis la Gran Bretagna e la Francia, accogliendo il leader italiano con tutti gli onori ufficiali. Ecco perché, come ha raccontato Egidio Ortona nel secondo volume delle sue memorie «Anni d’America» (Il Mulino, 1984), ad accogliere a Washington il nostro presidente del Consiglio c’erano soltanto il capo del cerimoniale Stanley Woodward e l’ambasciatore designato a Roma, Jimmy Dunn (che, nella foto sopra il titolo, è con De Gasperi e il ministro degli Esteri italiano Carlo Sforza). Oltre a uno stuolo di fotoreporter che la facevano da padroni.

Chi puntò sull’Italia

Il viaggio cominciava dunque in salita e l’esito degli incontri, nonostante la confluenza di interessi geopolitici, non era scontato. Particolarmente dura fu la trattativa con i manager della Import Export Bank. Campilli e Menichella puntavano all’inizio a una linea di credito di 700 milioni di dollari, mentre quel che si ottenne fu, come detto, una somma di cento milioni. Un parziale insuccesso, dal punto di vista economico, fu fatto passare mediaticamente come un successo. Nonostante i dubbi degli ambienti finanziari e industriali americani sulla immediata capacità di ripresa del sistema economico italiano, sia i politici democratici sia quelli repubblicani premevano per un rafforzamento degli aiuti economici e per un’interpretazione non restrittiva delle penalizzanti clausole del trattato di pace discusse a Parigi, che prevedevano pesanti risarcimenti da parte dell’Italia. Si espressero in nostro favore sia il segretario di Stato Byrnes, sia Myron Taylor, rappresentante della Casa Bianca presso il Vaticano.

«È tornato cambiato»

Un altro fattore che determinò il successo del viaggio di De Gasperi negli Stati Uniti fu la forte influenza della comunità italoamericana, desiderosa dopo la cocente delusione subita con Mussolini, di poter contare su un leader democratico, affidabile e di prestigio. Durante la visita a New York, la parata d’onore a Broadway, il pontificale del cardinale Francis Joseph Spellmann nella cattedrale di San Patrizio e il banchetto al Waldorf Astoria, furono tre successi al di là delle attese. Il viaggio si concluse il 15 gennaio, con un giorno di ritardo sul previsto, per via del maltempo. De Gasperi arrivò a Roma il 17 e il socialista Pietro Nenni, ministro degli Esteri in procinto di dare le dimissioni per via della complicata situazione del partito, annotò sul suo diario di aver trovato il presidente del Consiglio alquanto cambiato dopo la visita negli Stati Uniti. In effetti, con il primo viaggio di De Gasperi si iniziò per l’Italia una nuova stagione politica che portò nel giro di qualche settimana a un rimpasto e al ridimensionamento dei partiti di sinistra nella compagine di governo e, tra maggio e giugno, con la nascita del quarto governo De Gasperi, alla definitiva estromissione dei rappresentanti comunisti e socialisti. La stagione del Cln era finita. Cominciava quella del Centrismo. (Sotto, De Gasperi con Truman durante la visita negli Stati uniti nel settembre 1951)

3 gennaio 2017

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