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UN PROGRAMMA COMUNALE 2°

Un Programma Comunale 2)

Con questa seconda parte del primo articolo sul Programma Comunale, al netto della situazione di Dissesto Finanziario nel quale versa l’Ente, si tenta di offrire un quadro esaustivo dello scenario sul quale si muove lo stesso, nella più vasta cornice della materia legislativa di merito.

Nella prima parte abbiamo sottolineato il paradosso in cui versano i Comuni del Mezzogiorno, e dei quali quello di Belvedere ne è un elemento simbolico, proprio mentre si sta per avviare la progettazione e la spesa concreta del Recovery Plan:

a) le tasse più alte ci sono laddove funzionano peggio i servizi pubblici;

b) la mancanza di impiegati pubblici e di tecnici specializzati si fa sentire maggiormente nei luoghi dove si dovrebbe spendere almeno il 40% delle risorse, cioè in quei territori che hanno meno servizi pubblici e minori possibilità di progettarli per assenza di personale.

Sempre nella Prima Parte, abbiamo avanzato una nostra idea per far fronte a questa situazione:

a)mancanza di personale qualificato, in attesa di sbloccare molte procedure avviate per le nuove assunzioni, si potrebbe fare ricorso nell’immediato alle competenze accumulate nelle università meridionali;

b)rapporto inverso tra tasse e qualità dei servizi, intervenire garantendo centralmente un equilibrio territoriale senza basarsi sulla capacità dei comuni di presentare progetti. I diritti fondamentali non possono essere legati alla capacità di un singolo comune di farli rispettare con i propri mezzi.

c) più soldi ai Comuni a discapito delle Regioni.

Di tutt’altro avviso, in materia, sembra la manovra economica del governo Draghi che prevede anche la cessione dei servizi a rilevanza economica dai Comuni al mercato, ai privati. E’ una manovra che va avanti da trent’anni e Draghi assesta un colpo definitivo all’autonomia dei Comuni italiani.

Aggiungo solo che stupisce la totale mancanza di consapevolezza da parte dei Candidati Sindaci o Aspiranti Amministratori.

I comuni – soprattutto la miriade di piccoli municipi italiani, si trovano oppressi da una parte da  mille controlli burocratici tanto abominevoli quanto inutili (revisori sorteggiati, Mef, corte dei Conti)  e dall’obbligo di cedere i servizi a valenza economica ai privati dall’altra.

Mentre i media mainstream ancora una volta dirottano l’attenzione (colpiti i tassisti, risparmiati i concessionari degli stabilimenti balneari etc.) nessuno mette l’accento sulla sostanza del provvedimento, concentrata nell’art. 6: la privatizzazione dei servizi pubblici locali e la definitiva mutazione del ruolo dei Comuni.

Il disegno di legge sulla concorrenza e il mercato era atteso da tempo. Faceva parte delle stringenti “condizionalità” richieste dalla Commissione Europea per accedere ai fondi del Next Generation Eu.

Sin nelle finalità espresse all’art. 1 si dice che il provvedimento ha lo scopo di “promuovere lo sviluppo della concorrenza e di rimuovere gli ostacoli all’apertura dei mercati (…) per rafforzare la giustizia sociale, la qualità e l’efficienza dei servizi pubblici, la tutela dell’ambiente e il diritto alla salute dei cittadini”.

Se dalle finalità generali passiamo allo specifico articolo sui servizi pubblici locali, va subito notato il salto di qualità messo in campo dal governo Draghi: per la prima volta si parla di tutti i servizi pubblici locali senza alcuna esclusione. Come si evince dall’unico passaggio – paragrafo d – in cui sono menzionati i servizi pubblici locali a rilevanza economica in merito alla necessità di una loro ottimale organizzazione territoriale, il resto del provvedimento supera i precedenti tentativi di privatizzazione per la globalità dei servizi coinvolti. Ad ulteriore conferma di questa estensione, valga il richiamo (par. o) alla normativa relativa al Terzo Settore.

Ribaltando a 360 gradi la funzione dei Comuni e il ruolo di garanzia dei diritti svolto storicamente dai servizi pubblici locali, il ddl Concorrenza (par. a) pone la gestione dei servizi pubblici locali come competenza esclusiva dello Stato da esercitare nel rispetto della tutela della concorrenza. E ne separa (par. b) le funzioni di gestione da quelle di controllo.

I paragrafi successivi sono un vero ribaltamento della realtà.

Mentre all’affidatario privato viene richiesta una relazione annuale sui dati di qualità del servizio e sugli investimenti effettuati, il Comune che scelga di gestire in proprio un servizio pubblico locale: dovrà produrre “una motivazione anticipata e qualificata che dia conto delle ragioni che giustificano il mancato ricorso al mercato” (par. f); dovrà tempestivamente trasmetterla all’Autorità garante della concorrenza e del mercato (par.g); dovrà prevedere sistemi di monitoraggio dei costi (par. i); dovrà procedere alla revisione periodica delle ragioni per le quali ha scelto l’autoproduzione.

Per quanto riguarda i servizi pubblici a rilevanza economica (par. d), ovvero acqua, rifiuti, energia, e trasporto pubblico, si prevedono inoltre incentivi e premialità che favoriscano l’aggregazione (leggi multiutility).

Il Governo prevede anche (par. q) una revisione della disciplina dei regimi di proprietà e di gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni, nonché di cessione dei beni in caso di subentro, anche al fine di assicurare un’adeguata valorizzazione della proprietà pubblica, nonché un’adeguata tutela del gestore uscente.

In questo contesto, il richiamo (par. t) alla partecipazione degli utenti nella definizione della qualità, degli obiettivi e dei costi del servizio pubblico locale.(Continua)

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