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BELVEDERE ED I SARACENI (8)

La Lunga Storia di Belvedere (8)

Con i Longobardi il processo di trasformazione del territorio era avvenuto quando già forze esterne avevano investito l’Italia meridionale, favorite dalla divisione degli stessi. I Musulmani d’Africa, di Spagna e di Sicilia conquistata nell’827, ebbero un parossismo di vitalità che si manifestò anche nella ripresa dell’offensiva conquistatrice. Tra l’840 e l’870 Bari e Taranto divennero emirati arabi; Matera e diversi castelli nell’interno della Puglia e del Molise, divennero piazzeforti saracene, mentre nuove bande,  arrivavano dall’Africa e da Creta, alla ricerca di prede, taglie e riscatti.

  

                                                      L’invasione Saracena dopo la conquista della Sicilia 827 d.C

Malgrado questo, i potentati longobardi meridionali, trascinati dalla necessità sempre risorgente della guerra familiare, non rinunziavano ad assumere al proprio servizio le bande, accogliendole fin dentro le mura e soggiacendo a ricatti e tradimenti. Sorprende che una nobiltà di tradizione militare delegasse ai mercenari l’attività bellica; tecnicamente i saraceni non erano superiori ai longobardi: quando furono affrontati, vennero spesso sconfitti. Ma la nobiltà longobarda doveva essere troppo scarsa per sostenere da sola una logorante guerra perpetua e mobilitare le popolazioni urbane e rurali doveva essere divenuto difficile.

L’alleanza disastrosa con i Saraceni è uno degli aspetti del cinismo del costume politico, ma è anche il segno del crescente inserimento nell’ambito del Mezzogiorno delle forze che agivano nel Mediterraneo. Insieme alle bande, circolavano, con frequenza sempre maggiore, i mercanti africani.

                                                                                    Costumi Saraceni in Sicilia
L’alleanza coi Saraceni assicurava l’immunità, sicurezza dei commerci e della navigazione nei mari occidentali, che erano dominati dai Musulmani. Si spiegano così anche le alleanze delle città costiere di tradizione romanica coi Saraceni e la loro riluttanza a separarsene. Per l’Italia meridionale continentale, l’Africa costituiva, con Bisanzio, il più importante partner commerciale e perciò non era considerata potenza nemica, nemmeno sotto il profilo religioso, giacché una sostanziale indifferenza velava le pur note divergenze dottrinali.

Ma l’espansione militare saracena, condotta più che da eserciti statali da bande di avventurieri e pirati, tendeva  a traboccare dalla Sicilia al continente, seguendo le stesse rotte commerciali. La catastrofe avvenne quando i principi in lotta tra loro cominciarono ad assoldare bande musulmane, con cui praticarono a danno dei connazionali una guerra di devastazione, con stragi, incendi, saccheggi e distruzione di insediamenti aperti ed isolati.

Presto le bande, che agivano sotto i propri capi, sfruttarono le opportunità della guerra per assicurarsi solidi insediamenti nei territori longobardi, soprattutto sulle coste, giungendo ad istituire piccoli stati autonomi, piazzeforti della loro guerriglia e centri di un autonomo commercio con l’Africa, la cui voce principale erano gli schiavi ottenuti con la guerra, ma soprattutto per l’alto tirreno calabrese la gelsicoltura ed il baco da seta .

                   

                                                                     I Saraceni in assetto di guerra su terraferma

 

                                                             Affreschi d’epoca sugli assalti ed i trionfi Saraceni.
Il nuovo vigore dei Longobardi  nel secolo X si espresse nell’aggressività contro il dominio Bizantino. Dopo una fase di lotte interne fra Capua e Benevento, recuperava vigore l’ideologia nazionale che canalizzava la perdurante vocazione militare della nobiltà capuana e salernitana.

Sebbene si riconoscesse l’origine romana e l’unicità dell’impero bizantino, i Greci venivano ancora dipinti nefandi, effeminati e crudeli; i principi cominciarono a disfarsi dei titoli imperiali. Tra gli anni  “20 e i 50” del X secolo,  mentre le popolazioni longobarde delle città pugliesi tumultuavano contro il governo greco, la Puglia settentrionale, adito al santuario di San Michele sul Gargano, divenne la posta di una guerra di frontiera tra l’area longobarda e quella bizantina, combattuta con risultati alterni, ma con una sostanziale tenuta della capacità offensiva longobarda, che conseguì diversi successi.

                                                  Monte Sant’Angelo sul Gargano Chiesa Bizantina di San Michele

                                                                    Monte Sant’Angelo sul Gargano il Castello
Presenti in Calabria sia con incursioni (per oltre un millennio: a partire dai primi dell’800 dC) che con occupazioni temporanee e la costituzione di piccoli emirati in varie località (Squillace, Santa Severina, Tropea e Amantea) gli “Arabi” (detti variamente Turchi, saraceni, mori, amareni, ed in altri modi ancora) uniti nella comune Religione Islamica, provenivano da una enorme area che va dall’estremo occidente all’estremo oriente del bacino mediterraneo. Nonostante fossero incursori e depredatori, strinsero intensi rapporti commerciali ed economici con la Calabria, alla quale trasmisero non solo terrore, ma anche cultura e conoscenze tecnologiche. Grazie a loro giunsero colture come quella del gelsomino o di vari agrumi: bergamotto e forse aranci mandarini e limoni. Il “Mar bianco di mezzo”, come lo chiamarono, divenne teatro di un duro confronto fra l’Europa cristiana, latino – greca e i musulmani ma anche l’ambito di ricchi traffici commerciali.

Nella nostra area é di questo periodo l’insediamento certo dei Saraceni sulla dorsale sud del Pollino con Saracena e Brahalla (Baraka’llah = Benedizione di Dio) l’odierna Altomonte, riportato sia nei registri vaticani che in quelli angioini. Un evento che lascia facilmente presagire il ruolo giocato in questa vicenda dal Passo dello Scalone,  per due attendibilissime ipotesi : o una possibile distruzione della Rocca di Belvedere eretta  a difesa dai Longobardi da parte degli stessi Saraceni e Bizantini, o una sua utilizzazione.

                           

                                                  Saracena: Stampa d’Epoca e costume femminile di chiara impronta Saracena

 

                L’influsso arabo a Belvedere nella corte di Casa Fasanella e nelle scale di accesso del quartiere Forno

 

Solo per dovere di cronaca e nel rigore di veridicità si  richiama che quanto affermato nel “Bellumviderii, attribuito alla Rocca Longobarda di Belvedere, non trova riscontro:

“Nel 1046 un certo Guglielmo Barbote, al soldo del principe di Capua Pandolfo IV, occupa il Castello di Belvedere togliendolo al Principe di Salerno Guaimaro IV; e da lì compie varie scorrerie provocando danni al principato di Salerno. Allora Guaimaro ricorre all’aiuto del re normanno Dragone, che cinge d’assedio il castello; ma non era possibile prenderlo per l’altezza del monte. Però un contadino ebbe l’idea di raccogliere dei rami d’albero e di porli alla base del castello; il suo esempio fu seguito dagli altri che a poco a poco lo circondarono di fascine. Quando l’ebbero tutto rivestito di legna alla base, con le molle per attizzare il fuoco, che lui portava con se accese il legname e il castello fu arso”.
Mentre attendibile é quanto viene riportato alle: (pagine 106-107 del libro “Storia dei Normanni volgarizzata in antico francese” di Amato di Montecassino, pubblicato in Roma nel 1935: “l’Historia Normannorum del monaco benedettino Contemporaneo al periodo in esame, è andata perduta. Quella che resta è una traduzione francese del Secolo XIV° conservata nella Biblioteca Nazionale di Parigi.”

Ma secondo più attendibili fonti (Michelangelo Schipa-Rassegna Storica Salernitana 1949) l’episodio si riferirebbe al Castello Belvedere di Quarto (vicino Aversa) (NA) oggi Castello Monteleone. D’altronde sembra inequivocabile il riferimento del contesto storico geografico nel quale si è sviluppata la contesa Longobarda fra Pandolfo e Guaimario di quegli anni e sembra più verosimile il seguente passaggio, tratto dalla traduzione del medesimo testo francese:

“Rodolfo o Rainulfo Tiincanocte, corrotti i custodi ed evaso dal carcere di Salerno, raggiunse Maddaloni. Pandolfo, s’accordò coi suoi partigiani d’Aversa e, congiunte le forze, espulse dalla contea l’eletto di Guaimario e ne prese il posto. Senonchè, reso poi troppo audace dal successo e spronato da Pandolfo, osò muovere anche contro Salerno; ma, quando, sotto ì monti di Sarno, si vide sbarrata la via dal conte Drogone, perdette ogni ardimento e supplicò costui d’impetrargli la grazia del principe. Guaimario aderì volentieri alle istanze del genero, e concesse a Rainulfo l’investitura della contea usurpata. Lo stesso Drogone, poco dopo dette alle fiamme il castello di Belvedere (presso Aversa) d’un Guglielmo Barbote, cavaliere normanno, colmato di benefici da Guaimario e passato alla parte di Pandolfo. E rimasto costui senz’altro alleato, la sua gloria (conchiude il narratore) restò in tutto annientata.”

L’episodio non modifica l’importanza dell’insediamento Longobardo sul Belvedere per come abbiamo potuto evidenziare nel capitolo precedente dedicato appunto ai Longobardi; esso anzi rafforza il ruolo geopolitico dell’istmo del Passo dello Scalone nel contesto dello Appennino Calabro-Lucano, il quale, a sua volta, ripropone alla Città una nuova attenzione, il pericolo derivante dall’interno: non solo dunque dal mare, ma un nuovo punto di osservazione!

Una riconferma di quanto lo stesso, precedentemente,  aveva rappresentato nel lontano periodo pre-romano  (insediamenti Magno-Greci, sul Tirreno, dei fuggitivi, Sibariti dopo la distruzione della città ad opera, dei Crotonesi)  ed ancora, successivamente, con i Romani, la possibilità per le popolazioni interne  di scambi commerciali, con le ricche Castre di Presidio sul Litorale, quale quella di Fondo Cutura a Belvedere a ridosso del Porto del Tirone per il trasporto di olio, di pece e di legname durante le guerre Puniche, insieme alle ottime argille e non ultimo il trasporto del Sale di Lungro, già  attivo ai tempi di Plinio e ripreso alla grande con i Longobardi di Salerno ed Amalfi per via della scoperta delle carni insaccate.

Sebbene l’estendersi della dominazione Longobarda di Benevento prima, e di Salerno poi, avesse prolungato un’interruzione dell’influsso bizantino nella nostra area, poco prima del 1042 veniva istituito un altro tema detto di Lucania, che includeva anche la nostra Calabria Settentrionale Tirrenica. Furono questi gli anni di un notevole sviluppo economico!

Si produsse allora, sostenuto da una importante crescita demografica, quello che è il fenomeno caratteristico del X secolo, tipico anche per la nostra area di attenzione: la riconquista agricola di vasti territori divenuti incolti e silvestri, l’intensificazione delle aree già coltivate, la diffusione del popolamento con la creazione di nuovi centri abitati e l’incremento dei vecchi.

Dalla metà del secolo gli abati, tornati nelle antiche sedi, realizzarono con vigore la colonizzazione, attirando, anche da lontano, lavoratori sui possessi recuperati con patti agrari individuali e collettivi, assai vantaggiosi. Anche ad opera dei signori laici, l’abitato rurale, gravemente compromesso dalle scorrerie saracene, si riorganizzò nei castelli, che furono meno strutture militari che villaggi agricoli muniti di difesa.

Da “ San Ciriaco da Buonvicino” di Don Erminio Tocci, pg.30:
“ Così si ridussero a colture, zone selvose e sterpose; se ne dissodarono altre, si fecero piantagioni; si costruirono frantoi e mulini, si riattivarono strade; si bonificarono zone allagate dalle acque di torrenti indisciplinati e si costruirono villaggi agricoli”.
“ In realtà nella nostra Calabria, l’incontro delle grandi quattro civiltà del tempo: Bizantina, Romano-Germanica, Islamica e Cristiano- Latina, diedero alla nostra gente, un buon livello culturale, un discreto benessere economico, ma soprattutto, un senso di fiducia nell’uomo; di tolleranza e rispetto reciproco, nelle diversità; tale quale non si ebbe mai più se non nelle più avanzate Democrazie dei nostri giorni”.

Dalla terra derivava una ricchezza non trascurabile, soprattutto grazie alla piccola proprietà contadina, caratterizzata dalla coltivazione anche delle zone impervie, dalla diversificazione delle colture e dallo sviluppo dell’arboricoltura.

Allora si segnala una importante fonte di ricchezza: la gelsicoltura e l’allevamento del baco da seta: L’inventario dei beni (brebion) della metropolia di Reggio Calabria, databile alla metà dell’XI secolo, ben illustra gli sviluppi  raggiunti dalla gelsicoltura, bachicoltura e sericoltura e lascia intravedere che la seta, prodotta in Calabria, fosse principalmente destinata alla Sicilia musulmana, per esservi lavorata ed esportata. Il che comportava introiti significativi a beneficio degli abitanti e delle casse dei dominatori, tramite il meccanismo della riscossione fiscale.(meccanismo questo, in cui si riconoscevano a pieno titolo gli Arabi).

                                                                                        Agro di Belvedere

 

Anche le attività commerciali si espandevano ed investivano più intimamente il mondo longobardo:

Salerno intrecciava con Amalfi una sorta di simbiosi economica e politica, manifestata in una integrazione fra commercio amalfitano e mercato salernitano, cui corrispondeva sul piano politico una intensa circolazione di uomini nelle località marine di attracco, antesignano delle vie del commercio che caratterizzerà i secoli successivi sino all’inizio del nostro, appena trascorso, XIX°sec.

      

                                                                            Amalfi: Grand’Hotel Saraceno
A tal proposito in continuazione del trionfo del Guaimario nello stesso testo di Michelangelo Schipa viene detto:
Salerno, capitale del vasto e multiforme dominio, arricchita, specialmente pel tramite degli Amalfitani, dagli attivi traffici con la Sicilia, con l’Africa, con l’Asia, appariva più doviziosa della stessa Roma e brillava d’una corte grandiosa, che gareggiava con quella degli augusti orientali, scambiava doni e messaggi con quella degli imperatori d’ occidente. Ed ora, distesi nel resto d ‘Italia i suoi rapporti di parentela e di amicizia, Teodora, figlia del console e duca di Roma Gregorio e nipote del pontéfice Benedetto IX, era venuta sposa a Pandolfo, fratello del principe; e Bonifazio, marchese di Toscana, che nella media e nell’alta Italia non aveva pari, per ricchezze, per vastità di dominio e per numero di vassalli, alleato di Gregorio duca di Roma , s’era stretto in lega anche col principe di Salerno. E allora appunto questa città, già salita in fama per la Scuola medica, che ritenevasi atta a tener lontana ogni infermità, raggiungeva un’ eccellenza nella cultura da non temere il confronto d’alcun” altra città nell’occidente cristiano. Patria di Alfano, il più erudito tra i poeti allora viventi, e di Amato, il più copioso tra gli storiografi contemporanei, era anche sede di eloquenti giuristi, che tenean vivo il culto del diritto romano. Ed emerse tra costoro Romualdo, avvocato del convento di S. Benedetto, che appunto Alfano celebrò come oratore or dolce, or grave, or veemente, ammirato dai concittadini, che si giovavano della sua perizia nel giure. Ma chi riguarda l’origine e lo sviluppo di tanta potenza non può non ravvisare la prima nel favore dell’ imperatore tedesco, derivante dall’antagonismo con l’oriente; il secondo nella forza dei normanni, che, servendo per diventar padroni, non avrebbero più servito divenuto che fossero padroni.”
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