“In mezzo alla gente”: come passare dal populismo al popolarismo di Flavio Felice, Università del Molise Ricerche Flavio Felice -
“In mezzo alla gente”: come passare dal populismo al popolarismo
38 «Il “pensiero unico”, oltre a essere socialmente e politicamente totalitario, ha strutture gnostiche: non è umano, ripropone le diverse forme di razionalismo assolutista con le quali si esprime l’edonismo nichilista descritto da Methol Ferré. Domina il“teismo nebulizzato”, un teismo diffuso, senza incarnazione storica; nel migliore dei casi, creatore dell’ecumenismo massonico» Jorge Mario Bergoglio Scegliere di stare “in mezzo alla gente” può significare tante cose. Può significare abbandonare l’isolamento elitario ed egoistico, incontrare le gioie, i dolori, le aspirazioni, le sofferenze, la povertà, le ingiustizie, l’ingegno, la salute, la malattia, l’ardimento, la paura. Può significare tendere all’incontro con la diversità di cultura, di religione, di razza, di lingua, di tradizioni. “In mezzo alla gente” può significare operare per preservare l’uguale dignità di ciascuno, permettendo di essere tutti differenti l’uno dall’altro. Tuttavia, “in mezzo alla gente” potrebbe significare anche omologazione, massificazione, an- La Società – n.4 / 2016 39 nullamento della personalità. “In mezzo alla gente”, per chi ha responsabilità di governo, a tutti i livelli e in qualsiasi ambito (dunque anche ecclesiale), potrebbe significare assecondare le passioni più basse, in nome di un facile consenso, ovvero, in nome di una ostentata immedesimazione con “l’odore del popolo”, farsi portatori di presunte istanze popolari che interessano soltanto i portatori. In fondo, Pilato si rivolse alla “gente”, al suo “popolo”: «Chi volete che io rimetta in libertà per voi: Barabba o Gesù, chiamato Cristo?». Il suo “popolo” scelse Barabba e Pilato obbedì al suo “popolo”. È evidente che la nozione di “gente”, intesa come “popolo”, non è univoca, per quanto, per usare le parole di Loris Zanatta: “potente ed evocativa”, è pur sempre “scivolosa e ambigua”, evidenziando una serie di situazioni nei confronti delle quali il nostro giudizio è tutt’altro che unidirezionale2 . Lo spunto per tentare di rispondere con il presente articolo alla provocazione dell’espressione: “in mezzo alla gente”, che rinvia all’invito di Papa Francesco affinché il pastore porti con sé l’odore delle sue pecore3 , mi è offerto dal titolo di un bel libro dell’amico Giovanni Palladino, economista, analista finanziario e da sempre impegnato a diffondere il pensiero di don Luigi Sturzo: padre del popolarismo. Il libro di Giovanni Palladino s’intitola Governare bene sarà possibile. Come passare dal populismo al popolarismo (Rubbettino, 2015); ebbene, se da un lato tale espressione esprime la consapevolezza che l’epoca che stiamo vivendo non rappresenta un gradino necessario dell’inesorabile declino al quale sarebbe condannato il nostro mondo, d’altro canto, la medesima affermazione non si espone neppure alla deriva fatalistica che finisce per cogliere coloro i quali si illudono che, nel bene o nel male, qualcosa dovrà pur succedere e che quel qualcosa sarebbe già scritto nella storia: è evidente che come esiste uno storicismo progressista ne esiste uno reazionario. Qualcosa dovrà pur succedere nonostante il nostro operare, nonostante la cultura politica dominante delle masse, nonostante la cultura politica dominante presso le classi dirigenti, nonostante la nostra incapacità di resistere alla tentazione della rassegnazione o delle scorciatoie, Ricerche Flavio Felice – “In mezzo alla gente”: come passare dal populismo al popolarismo 40 nonostante il rischio che il “reale” venga percepito fatalisticamente come il “razionale” e personificato con il sovrano al quale dovere il nostro quotidiano inchino.
Dunque, governare bene sarà possibile, ma nella misura in cui dimostreremo di avere la forza di passare dal “populismo al popolarismo”.
Affinché sia chiaro il mio personale punto di vista, rinvio alle poche righe che seguono, scritte dal poc’anzi citato Luigi Sturzo. Nel suo testamento spirituale: La vera vita. Sociologia del soprannaturale del 1943, ad un certo, per spiegare lo spirito riformatore che dovrebbe animare i cattolici nella “civitas ominum” e l’impossibilità di dar vita a istituzioni perfette e immodificabili, Sturzo scrive:
«Può sembrare strano, ma lo spirito del male è talmente insito alla struttura sociale che spesso si confonde con “l’ordine stabilito”, con “le tradizioni dei seniori”, con “i fatti compiuti”; in una parola; con tutto quello che viene stabilizzato in nome dell’uomo. Da qui il bisogno continuo, sentito dai migliori, di promuovere delle riforme»4 .
Per il cristiano, la realtà assume i caratteri del problema, mai della soluzione, altrimenti saremmo tutti condannati al giustificazionismo e, come ci ammonisce Kant, a portare lo strascico del re, piuttosto che la lampada che illumina il suo cammino. In altre parole, in termini“conservatori”, saremmo rassegnati alla resa quotidiana ai fatti o, al massimo, in termini “progressisti”, dovremmo affidarci al demiurgo di turno, il quale agisce sempre in nome di una presunta verità, in forza della quale si sente titolato del diritto di imporla agli altri. In ogni caso, dovremmo affidarci al populista incantatore che, in nome di supposte sempre nuove buone intenzioni e magari di uno sbandierato “carisma” che lo renderebbe capace di incarnare i sentimenti migliori del “popolo” e, quindi, titolare del diritto di guidarlo (governarlo), spaccia il proprio personalissimo ed oligarchico interesse con il roboante e retorico “bene comune”. L’esigenza di perseguire il “bene comune” ci mette di fronte a questo problema: la “realtà” – il quotidiano e il contingente – non esprime il dato al quale genuflettersi come “sudditi volontari”. Tornano alla mente le parole del giurista francese Etienne de La Boétie: «Vorrei solo riuscire a comprendere come mai tanti uomini, tanti villaggi e città, tante nazioni a volte, sopportano un tiranno che non ha alcuna forza se non quella che gli viene data, non ha potere di nuocere se non in quanto viene tollerato. Da dove ha potuto prendere tanti occhi per spiarvi se non glieli avete prestati voi? Come può avere tante mani per prendervi se non è da voi che le ha ricevute? Siate dunque decisi a non servire più e sarete liberi!»
5 . Ecco, dunque, che il darsi del “buon governo” dipende molto dalla cultura politica presente in un “popolo”, dal fatto che essa, articolata in istituzioni, mostri di avere la forza di condizionare le scelte delle classi dirigenti; in definitiva, ciò che intendiamo con la proposizione: “passare dal populismo al popolarismo”. Il termine “populismo” presenta a tutta evidenza una stretta parentela col termine “popolarismo”, per via della comune radice linguistica: “popolo”. Sul piano semantico però questa affinità si rivela falsa, giacché il “popolo” del populismo è ben diverso da quello del popolarismo. Spacciare l’uno per l’altro può essere una più o meno astuta operazione di comunicazione politica, che rivela però tutti i suoi limiti in sede di impostazione teorica, così come di verifica empirica. Proviamo allora ad individuare un nocciolo duro del fenomeno populismo, che possa assumere varianti di tipo hard o di tipo soft. Il populismo è una matrice politica, tipica delle fasi di modernizzazione, che può operare sia in contesti democratici che in regimi autoritari; rispettivamente, per definire l’opposizione alle degenerazioni dei primi o per fornire il sostrato simbolico alle azioni di governo dei secondi. Pur adottando uno stile politico aggressivo e autoritario, nelle sue manifestazioni antiestablishment o nella difesa delle proprie posizioni, esso solitamente non va al di là della violenza verbale. Dal punto di vista ideologico, il populismo non è necessariamente conservatore, bensì si manifesta piuttosto riformista, quando non rivoluzionario. Invero, esso si pone come un su- peramento della democrazia, perché mira precipuamente a sovvertire le basi della rappresentanza, sostituendola con il principio di identità, nel senso che conferisce il primato alla rassomiglianza e alla similitudine fra governanti (leader) e governati (popolo). Da questo discendono due aspetti molto importanti: la concezione della leadership, che mira all’identificazione fra il capo e il popolo, seppure in termini di aspirazioni, e la concezione dello stesso popolo, inteso come comunità organica coesa, tale da confinare ogni alterità politica dietro la categoria discriminante di “non-popolo”6 . Sostanzialmente diversa la nozione di “popolarismo”, con la quale intendiamo la dottrina politica ed economica elaborata da Luigi Sturzo e che vede nella fondazione del Partito Popolare (1919) un autentico capolavoro politico; una dottrina politica approfondita e promossa durante il suo ventennale esilio, anche attraverso quel particolare esperimento associativo che fu il People and Freedom Group, fondato a Londra nel 1936 da un gruppo di giovani, d’accordo con il sacerdote di Caltagirone. Scriveva Sturzo nella lettera di presentazione di tale associazione: «Popolo e libertà è il motto di Savonarola; popolo significa non solo la classe lavoratrice ma l’intera cittadinanza, perché tutti devono godere della libertà e partecipare al governo. Popolo significa anche democrazia, ma la democrazia senza libertà significherebbe tirannia, proprio come la libertà senza democrazia diventerebbe libertà soltanto per alcune classi privilegiate, mai dell’intero popolo»7 . Nella prospettiva sturziana, non vi è spazio per quel populismo contemporaneo in cui il leader presenta se stesso come l’incarnazione del popolo, categoria mistica, incarnata da un capo carismatico, né per una nozione di popolo organicistica: l’attributo “popolare” sta ad indicare piuttosto il metodo della partecipazione alla vita civile. Il “popolo” per Sturzo esprime una forza sociale di controllo, in quanto esercita la funzione di limite mediante organismi procedurali istituzionali 8 . Per questa ragione il “popolo” in Sturzo è un concetto poliarchico, dal momento che il limite esercitato sarà di ordine giuridico, istituzio42 Ricerche Flavio Felice – “In mezzo alla gente”: come passare dal populismo al popolarismo nale e culturale, andando ben oltre la classica distinzione dei poteri di matrice montesquieuiana. Radicando la categoria politica del “popolarismo” in tale nozione di “popolo” è evidente che Sturzo individua il problema della politica nella ricerca dei limiti al potere. Ebbene, Sturzo individua tre categorie di limite che il “popolo” esercita sul potere politico. In primo luogo, ciò che egli chiama il “limite organico del potere”9 . Nel suo impianto, il limite organico mira principalmente a raggiungere tre obiettivi: in primo luogo, svincolare la condizione civile da quella censuaria; in secondo luogo, dare maggiore uniformità ed efficacia alla legge e sottrarla all’arbitrio delle persone investite di potere; infine, nobilitare l’azione politica, dal momento che viene riconosciuto a coloro i quali partecipano alla vita pubblica un sentimento capace di trascendere gli interessi particolari per far valere le ragioni del bene comune. La seconda categoria, ci offre l’idea del “popolo come forza morale di controllo”10 . Il popolo, dunque, come luogo di resistenza etica, mediante la sua articolazione in partiti, sindacati, mass-media, società civile e come forza motrice capace di mutamento e di civilizzazione11 . Per Sturzo quanto più è sviluppata e diffusa tale consapevolezza, insieme al sentimento di solidarietà di cui abbiamo accennato nel punto precedente, maggiore sarà la partecipazione popolare al governo della cosa pubblica, più stimati i valori etici legati al buon governo, più progredita la nazione, meglio organizzati i poteri dello stato e meglio soddisfatte le aspettative dei cittadini. La terza categoria rimanda al concetto di “popolo come limite politico”12. In questo caso, afferma Sturzo, il popolo potrà esercitare una simile funzione nella misura in cui le istituzioni statali saranno organizzate secondo il metodo democratico ovvero, nella misura in cui, in forza dell’esercizio delle libertà politiche, il processo riformatore sia reso possibile mediante il concorso e la partecipazione al potere politico di tutte le classi sociali. Così inteso il popolo non esprime la “giustificazione del potere”13 , ma funzionalmente, attraverso l’elettorato, diviene uno degli organi dello stato con una funzione particola43 La Società – n.4 / 2016 re e precisa: al pari dell’opinione pubblica, è nelle condizioni di “influire” e far valere la sua forza sugli altri organi dello stato, potendo, in momenti particolari, giungere ad esprimersi persino in forma rivoluzionaria come “l’antitesi” alle classi dirigenti, che detengono il potere e che fanno coincidere la loro stessa esistenza con quella dello stato14 . L’idea di “popolo” in Sturzo, dunque, non ha nulla di collettivistico, corporativistico e organicistico. Sturzo è un personalista, e per il personalista Sturzo, in sintonia anche con la visione liberale tipica della teoria “ordoliberale” di Wilhelm Eucken, solo la persona pensa, agisce, soffre e sceglie, mentre i concetti collettivi quali “stato”, “società”, “classe” non sono altro che strumenti semantici ausiliari che consentono la comunicazione, ma non rappresentano realtà terze (ipostatizzazioni) rispetto alle parti che li compongono: le ragioni delle parti (le persone) contano più delle ragioni della loro somma (gli stati o i partiti). La stessa scelta di Sturzo di chiamare il proprio partito “popolare” e non “del popolo” è emblematica di come egli intendesse il ruolo del partito nel contesto democratico: come uno strumento di partecipazione per la selezione di una parte (politica) della classe dirigente. Si rifletta sul fatto che affermare che il proprio partito rappresenti “il Popolo” significa precludere una legittimità “popolare” a tutti coloro che non si riconoscono in quel partito: si può finire (e si finisce) per pretendere di rappresentare il discrimine tra “il popolo” e “il non-popolo”. Per Sturzo, al contrario, l’essere “popolare” o “democratico” è un attributo e non la sostanza. Un partito può essere popolare (cioè non elitario), democratico (ossia non autocratico), ma solo pretenziosamente può definirsi “del popolo”, ovvero “della democrazia”. Certo, il compito di un partito è chiaro: rappresentare delle istanze di parte, magari formulate in un programma o in una carta di valori democraticamente votata, sulle quali cercare di raggiungere il massimo consenso con il minimo sacrificio del44 Ricerche Flavio Felice – “In mezzo alla gente”: come passare dal populismo al popolarismo le proprie posizioni. Ma qualora esso pretendesse di incarnare la totalità delle opzioni politiche esperibili sulla base di un principio maggioritario autoritario, cioè mal inteso, farebbe del popolo un mero instrumentum regni e non il protagonista legittimo della vita democratica, in cui il leader è figura transeunte, per quanto eccezionale o significativa. La cornice all’interno della quale possiamo collocare questo confronto tra la nozione di “popolo” nel campo teorico del “populismo” e la stessa in quello del “popolarismo”, possiamo individuarla nel rapporto tra “politica ed economia”. In Sturzo, il rapporto tra “politica ed economia” passa per la critica degli elementi che caratterizzavano il presente ed avevano caratterizzato il passato – più o meno recente – del Paese. In ambito economico, la critica di Sturzo si concentra sull’indebita invadenza della burocrazia e dello Stato nell’iniziativa privata. Eccoci giunti alla denuncia della prima delle tre male bestie della democrazia15 : lo statalismo, il quale andrebbe contro la libertà. Lo statalismo, così vigorosamente condannato da Sturzo, non andrebbe confuso con l’intervento pubblico nell’economia. Sturzo condivide l’opinione dei teorici dell’economia sociale di mercato, ne è prova, tra le altre, la convinta adesione del fondatore del Partito Popolare alla prospettiva teorica di Wilhelm Röpke, testimoniata in un articolo che assume quasi le tinte di un testamento “economico” perché apparso postumo due giorni dopo la scomparsa del sacerdote calatino, il 10 agosto del 1959: «Il prof. Roepke non poteva meglio mettere in evidenza il problema dell’economia moderna che richiamandosi al canone fondamentale della moralità. Senza questa non regge economia pubblica, non regge economia privata»16 . Un’ulteriore testimonianza della condivisione ideale tra i teorici “ordoliberali” tedeschi e Sturzo ci giunge da una lettera inviata dal Cancelliere tedesco Konrad Adenauer al prof. Giuseppe Palladino (esecutore testamentario di Sturzo) il 25 settembre del 1959, a pochi giorni dalla morte del sacerdote siciliano: «Io ho stimato Don Sturzo come uno dei grandi politici che per un senso profondamente sentito di responsabilità cristiana, dopo il caos dell’ultima guerra, hanno operato 45 La Società – n.4 / 2016 in tutti i sensi per costruire un’Europa nuova, io spero tanto che le preghiere di Don Sturzo mi siano d’aiuto per cooperare a mia volta nello spirito che animava il suo intento, a risolvere i problemi che si presenteranno per l’Occidente cristiano»17 . In ambito politico, Sturzo lamentava la pratica consolidata della partitocrazia: la seconda delle tre male bestie che per il nostro Autore andrebbe contro il principio di uguaglianza; per partitocrazia Sturzo intendeva l’ingerenza irresponsabile di partiti e dei sindacati nelle funzioni del potere legislativo. Quanto detto in ordine all’ambito economico e politico, mediante lo “statalismo” e la “partitocrazia”, ci permette di estendere il discorso anche all’ambito etico-culturale. In tale contesto, come conseguenza delle prime due “male bestie”, Sturzo intravede le fauci della terza “mala bestia”: lo “spreco di denaro pubblico” che impedirebbe il perseguimento della giustizia. Partitocrazia e statalismo, mediante il cattivo uso del denaro pubblico, deresponsabilizzano il corpo sociale e svuotano di significato etico l’azione umana. In tale prospettiva, arrogarsi il diritto di eliminare il rischio, ossia, l’imprescindibile ignoranza umana, inibendo il processo competitivo, oltre a rappresentare un inutile spreco di energie, vorrebbe dire arrecare un gravissimo danno alla società, paralizzare il naturale flusso dell’attività umana e privare la persona della necessaria spinta alla relazione interpersonale, alla scoperta ed alla responsabilità personale e sociale. Il punto di vista di Sturzo ci consente di considerare il rischio come un’opportunità data all’uomo per andare, di volta in volta, oltre i limiti della conoscenza e di educare le proprie facoltà alla conquista dell’abilità necessaria per il perseguimento di quel benessere multidimensionale che ci consenta di pensare una nozione matura di bene comune che non sia vuota retorica politica ovvero utopistica “presunzione fatale” che, dopotutto, la storia ha mostrato essere il paravento nobile delle più nefaste alchimie d’ingegneria sociale. In conclusione, credo si possa dire che, in ultima analisi, il di46 Ricerche Flavio Felice – “In mezzo alla gente”: come passare dal populismo al popolarismo stinguo tra populismo e popolarismo consista nella questione dell’inclusione sociale ovvero della qualità inclusiva delle istituzioni sociali, la quale rinvia ad una visione poliarchica e bilanciata della sovranità. Ebbene, intesa in tal modo, la sovranità si identifica con la nozione di partecipazione (a vari livelli) al processo decisionale, una sorta di atto di governo ascendente che configura la comunità locale, internazionale e globale come qualcosa di molto simile ad reggimento civile poliarchico, improntato alla complementarità delle nozioni di government e di governance. Inclusione sociale significa, in primo luogo, non ammettere alcuna pretesa rendita, tanto meno monopolistica, su alcuna fonte di reddito e operare affinché nessuna pretesa rendita possa trovare una qualsiasi soddisfazione. Inclusione sociale significa educare alla cultura della condivisione e predisporre, a cominciare dalricorso alle norme dirango costituzionale, un rigoroso sistema istituzionale che impedisca e punisca i tanti o i pochi, e comunque sempre troppi, percettori di rendite di monopolio, che si tratti di rendite politiche, economiche e culturali 18.
47 La Società – n.4 / 2016 48 Ricerche Flavio Felice – “In mezzo alla gente”: come passare dal populismo al popolarismo Note 1 Professore ordinario di Storia delle dottrine politiche, Università del Molise. 2 Cfr. Loris Zanatta, Un papa poopulista, “il Mulino”, 1/2016. 3 Da questa affermazione discendono una serie di argomenti con i quali il professor Loris Zanatta definisce “populista” la posizione di Papa Francesco. 4 Luigi Sturzo, La vera vita. Sociologia del soprannaturale [1943], Opera Omnia, I serie, vol. VII, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2005, p. 154. 5 Etienne de La Boétie, Discorso sulla servitù volontaria; in G. Sharp, Politica dell’azione nonviolenta – Potere e Lotta, Edizioni Gruppo Abele, Torino, 1985, pp. 28-29. 6 Maurizio Serio, Populismo e culture politiche, in R. Chiarelli, a cura di, Il populismo tra storia, politica e diritto, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 2015, pp. 48 e ss. 7 L. Sturzo, Nazionalismo e internazionalismo [1946], Rubbettino, Soveria Mannelli, 2007, p. 108. 8 Cfr. ibid., p. 301. 9 Cfr. L. Sturzo, Politica e morale [1938], Zanichelli, Bologna, 1972, p. 10. 10 Cfr. L. Sturzo, Nazionalismo e internazionalismo…, cit., p. 301. 11 Cfr. L. Sturzo, Politica e morale, cit., p. 10. 12 Cfr. L. Sturzo, Nazionalismo e internazionalismo…, cit., pp. 300-302. 13 Cfr. L. Sturzo, Il partito politico: dall’idea al fatto [1919] – Riforma statale e indirizzi politici [1920-22], Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, 2003, p. 39. 14 Cfr. L. Sturzo, Nazionalismo e internazionalismo…, cit., p. 301. 15 Sull’analisi delle “tre male bestie” operata da Sturzo, mi permetto di rinviare al mio The International Dimension of the Social Market Economy: Its Reception in Italy and Sturzo’s Interpretation, in “EuroAtlantic Union Review”, in corso di pubblicazione. 16 L. Sturzo, Economia e moralità, in “Via Aperta”, 10 agosto 1959, oggi in Id., Politica di questi anni, vol. XIV, a cura di Concetta Argiolas, Gangemi Editore, Roma 1998, p. 497. 17 Giuseppe Palladino, oggi, , Napoli, 1995, p. 53. 18 Flavio Felice, Poverty, Inclusion, Institutions. A Challenge for Latin America